Sul caso Evergrande, di cui tutti parlano, mettiamo le cose in prospettiva. Il massiccio default del debito estero dell’Argentina (nel 2001) fu di 93 miliardi di dollari. La ristrutturazione del debito per la Grecia nel 2012: $200 miliardi. Quando fece crack innescando la grande crisi finanziaria del 2008, Lehman Brothers aveva debiti globali di 600 miliardi. Sui $300 miliardi di debito accumulato da Evergrande – domestico ed espresso in moneta locale – sia i negazionisti filo-Pechino (pochi) che i fanatici allarmisti del neo-maccartismo anti-cinese (moltissimi, soprattutto in Italia, nei grandi giornali e nei partiti) sbagliano quasi tutti le loro valutazioni.

Cominciamo col dire che ciò che sta accadendo in Cina è il risultato di un cambiamento di politica e di regole avviati, scientemente, da Xi Jinping e dal Partito Comunista Cinese. Con un preciso obiettivo: limitare la speculazione finanziaria e le bolle tipiche di un mercato capitalista cresciuto troppo e troppo in fretta.

La stretta del governo è cominciata un paio d’anni fa, e aveva proprio lo scopo di prevenire una crisi sistemica che avrebbe potuto far crollare l’intero settore finanziario, se Pechino non avesse cominciato a ‘controllare’ (cioè sgonfiare) la bolla nel comparto immobiliare, a cui fa capo una fetta importante del PIL cinese (29%) con forti legami a monte e a valle. I ‘furbetti del quartierino’ stile Dragone, ovvero centinaia di nuove e aggressive aziende finanziarie ed edilizie/immobiliari private, con i rispettivi neo-ricchi patron, erano cresciute a dismisura con un trucchetto in cui Evergrande, più delle altre, eccelleva. Offrivano agli investitori terreni e case a prezzi taroccati, comprati a buffo, con valori in continua crescita e bilanci fasulli. A loro non importava nulla, perché il rischio veniva trasferito a decine di migliaia di compratori di appartamenti e alle molte banche che finanziavano l’acquisto.

Quel modello ha funzionato egregiamente, anche per le autorità locali, gli istituti bancari e le famiglie, finché i prezzi di case e palazzi salivano, in 100 nuove città costruite da zero. E negli ultimi 15 anni salivano, e salivano, e salivano. Così il debito delle famiglie è schizzato molto al di sopra del reddito disponibile. Era tanto difficile individuare il cigno nero in arrivo? Macché: aumento esponenziale dei prezzi, speculazione finanziaria, indebitamento a gogò, ad un certo momento si va pancia all’aria.

Il fallimento di Evergrande sarà di fatto una ‘demolizione controllata’ e non un ‘default disordinato’ come accadde con Lehman Brothers – molte altre società cinesi sono a rischio perché altamente indebitate, come Fantasia, R&F, Suna, China Aoyuan, Minsheng, Ping An – e questo è il prezzo che il governo cinese è disposto a pagare per rendere il sistema finanziario meno rischioso. Ma, a costo di ripetersi, il Pcc agisce seguendo una precisa strategia: rimodulare l’economia verso una crescita più orientata al consumo e meno alla finanza. Con ciò riaffermando il principio “comunista” della ‘ricchezza condivisa’, in uno scenario di stabilità sociale. Riuscirà Xi Jinping a calmare gli animi di 1,7 milioni di piccoli investitori/speculatori che aspettano da Evergrande la consegna di case non finite, e nello stesso tempo potrà il governo avviare la bonifica, anzi il repulisti, del settore edilizio e finanziario, evitando crack catastrofici?

Certamente sì; ma il lato oscuro e l’enorme debito in pancia a molte di queste società, ben oltre Evergrande, disseminerà il terreno di cadaveri. E’ il capitalismo, bellezza. Benvenuti nel club, cari cinesi. Aspettiamoci quindi altro marciume esposto sui media e notizie (anche fake) che condizioneranno i mercati globali, e poi processi nei tribunali locali, siluramenti, risarcimenti, fallimenti. Stabilizzare il mercato immobiliare domestico sarà per la Cina un procedimento lungo, arduo e rischioso. Ma alla fine il sistema reggerà.

“Il governo cinese ha dimostrato in passato di saper gestire crisi abbastanza gravi per il sistema economico, a cominciare da quella del 2008-9 (arrivata da fuori) a quella della Borsa nel 2015”, ha detto Marco Marazzi, partner responsabile del China Desk di Baker Mckenzie (ha vissuto in Cina 20 anni e parla mandarino). “La vicenda Evergrande – aggiunge – è senz’altro molto più complessa e può avere anche risvolti imprevedibili ma i segnali sono quelli di un intervento statale, limitato, teso a proteggere per esempio gli acquirenti delle abitazioni ancora non consegnate, i dipendenti e i piccoli investitori in primo luogo domestici. Chi però assimila questa vicenda a quella della regolamentazione recente del settore tech, leggendole come parte del tentativo del Partito di controllare il settore privato cinese, sbaglia. Il caso Evergrande è uno in cui qualsiasi governo, di qualsiasi paese, sarebbe intervenuto, data la posta in gioco. Sono cose diverse, motivate da esigenze (ed emergenze) diverse, che non vanno affatto accomunate”.

Se è così, lo stato interverrà, e il paradosso è che la pianificazione “comunista”, usando gli strumenti tipici di un capitalismo drogato ed estremo, eviterà una crisi debitoria totale con ricadute internazionali. Del resto gli Stati Uniti dopo la crisi finanziaria del 2008 non salvarono le banche Tbtf (too big too fail) con una mega iniezione di liquidità del Congresso? Io credo che Xi Jinping sia consapevole di una verità post-ideologica: il comunismo old fashion non funziona, è triste, povero e perdente. E soprattutto è inefficace nello stimolare una crescita economica forte e coesa che possa offrire ai cittadini un benessere diffuso senza follie. Solo così la Cina potrà essere davvero la nazione del “moderno socialismo” entro il 2050, come recita la Costituzione voluta dal capo. E solo così avrà la stazza da superpotenza con interlocutori alla pari, ovvero Stati Uniti e (ahinoi – inadeguati) Unione Europea. Per Pechino è comunque inderogabile che l’economia continui a crescere senza innescare crisi alla Lehman Brothers, perché gli interessi del Pcc sono allineati con quelli di decine di milioni di investitori privati (un allineamento tutt’altro che perfetto e asimmetrico). Certo, vedere cinesi protestare sotto gli uffici di Evergrande fa una certa impressione qui in Occidente. Il pugno di ferro di un governo autoritario potrebbe non bastare. Una crisi su larga scala non può essere esclusa a priori.

“Al di là dell’aspetto prettamente finanziario, la vicenda Evergrande segnala la conferma di un’inversione di rotta“, dice Romeo Orlandi, presidente del think tank Osservatorio Asia e autore del libro Mal di Cina. “E’ probabilmente scaduta la delega che il potere politico aveva concesso agli imprenditori di produrre maggiore crescita economica – e lo ha fatto egregiamente – infatti ha trainato la Cina fuori dal sottosviluppo. Così si è generata potenza e prosperità meglio di quanto potesse fare il collettivismo. Ora il potere che i singoli imprenditori hanno raggiunto è un pericolo per l’ossessione del controllo da parte del Pcc. Se il binomio stabilità-crescita era stato strumentale alla Cina dei record, ora i suoi ritmi si sono rallentati. E’ preferibile dunque accettare tassi di incremento del PIL minori e mantenere la stabilità, cioè il controllo della segreteria di Xi Jinping”.

Già, ma chi segue la finanza e i mercati sa che la situazione può evolversi anche con risvolti imprevisti; i timori di ‘contagio’, oggi attenuati, covano ancora sotto traccia. Come non fare il paragone con le espansioni economiche da boom alimentate dal debito in Giappone e nelle economie delle Tigri asiatiche prima dei crash trenta anni fa? Il debito aziendale non finanziario in Cina (senza parlare dello shadow banking) ha oggi dimensioni ancora più grandi rispetto a quanto accadde prima che le economie di Giappone, Corea del Sud e Thailandia collassassero alla fine degli anni ’90. L’abile gestione di Xi Jinping ha finora evitato una grande crisi sistemica cinese. Ma gli eccessi capitalistici, fondati sull’arricchimento individuale e sugli animal spirit speculativi, dovranno logicamente essere ridimensionati. In conclusione: i mitici tassi di crescita di Pechino sono destinati a rallentare, come prevede Orlandi. E l’esperimento politico unico al mondo e alternativo della Cina continuerà a imporsi, con il pendolo geopolitico in perenne oscillazione tra comunismo e capitalismo.

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