di Giovanni Ceriani
La gravità inaudita, per lorsignori, del Reddito di cittadinanza non è tanto quella di aver tirato fuori dalla povertà milioni di persone. Questo infatti è un indicatore ancora troppo semplice, materiale, “meramente economico” e come tale ancora troppo pre-politico, cioè potenzialmente (astrattamente) indifferente.
La gravità inaudita, per lorsignori, del Reddito di cittadinanza è di natura politica, ossia simbolica e militare. La sua gravità sta infatti nell’aver eliminato (osato eliminare!) il concetto di colpa (povertà come “colpa” e povero come “colpevole”) dentro un nuovo immaginario dei diritti e del povero come soggetto di diritti. Diritto-al-reddito come diritto-alla-dignità: la radice di tutti i diritti. È questo il punto politico, di guerra politico-ideologica, che nutre il risentimento delle classi dominanti e di quegli spezzoni dei gruppi subalterni imbevuti di ideologia neoliberale e di grettume piccolo-borghese. È l’aver sfidato il principio della colpa, da cui la logica del debito, con tutto il suo surplus di ricatto e di potere disciplinare. Il debito-colpa istituisce il soggetto debole come “in debito” e “in colpa” e quindi lo responsabilizza del suo… fallimento! Una soggettivazione politica al contrario, perché invece di andare nella direzione del cittadino va nella direzione del reo, ossia della sua criminalizzazione.
Ecco allora che oggi la partita si gioca ancora e appunto tutta qua. Le presunte, pretese e pretestuose proposte di riformare, “migliorare” il Reddito di cittadinanza, ben lungi dal volerlo rendere più esteso, universale, utile, egualitario, funzionale, etc, hanno di mira un altro (inconfessabile perché volgare) obiettivo. Ossia quello di reinserire il dispositivo della colpa e del debito dentro il meccanismo del Reddito di cittadinanza. E questo sia nella dimensione individuale (ossia nel rapporto percettore-Stato) sia nella dimensione sociale (ossia nell’immaginario collettivo).
Questo è il punto. E quindi, vuoi con l’insistere sulle fatidiche (appunto retoriche) “politiche attive”, vuoi con l’insistere sui fantomatici (appunto stucchevoli) “lavori socialmente utili”, vuoi con il ribadire il concetto (l’insulto) del percettore di reddito come assistito, drogato, colpevole: ecco che tutto fa brodo per ribadire il gioco, tornare a stringere gli anelli delle catena e del cappio che ogni povero deve sempre sentire (e la società intera con lui). Sono tutti modi per ribadire il marchio (di fabbrica), ossia quello della colpa e quello del debito.
Il Reddito di cittadinanza di Di Maio, di Conte e dei 5stelle, pertanto, ha osato sfidare la legge ferrea del capitale e nella loro “banale follia”, nella loro “ostinata eresia”, hanno messo un piede fuori dal sistema del capitale e dentro un altro campo: quello dell’utopia.
Questa è la sfida, la battaglia, la questione dirimente che le classi dominanti hanno ben colto fin dall’inizio e fin dall’inizio agiscono di conseguenza: pilotando attori vari, da Renzi a Salvini alla Meloni, ma con eguale maestria, cattiveria e arroganza. È appunto una questione di civiltà, anzi di civiltà vs barbarie, che ognuno declina a suo modo: per noi la barbarie del capitalismo; per loro la barbarie è il “metadone di Stato” del Reddito di cittadinanza. Per noi la barbarie è il capitalismo, vieppiù nella forma morbosa del neoliberismo; per loro la barbarie è il Reddito di cittadinanza, cronicizzazione di una tossicodipendenza, cioè di un colpa: l’esser poveri.
Quindi i 5stelle hanno sbagliato a suo tempo a dire “abbiamo abolito la povertà”: hanno sbagliato per eccesso di prudenza. Loro hanno fatto una cosa ben più forte e potente che andava e va urlata ancora: “abbiamo abolito la colpa”, ossia il povero come “colpevole”! E allora è questa la “colpa” del Reddito di cittadinanza: aver osato abolire la “colpa” del povero!