Il presidente Inps: "Una crescita trainata da un lavoro che non è stabile non è inclusiva". E ricorda che "il nostro modello è molto simile a quello tedesco ed in Germania, con un sistema di contrattazione altrettanto forte, si pensa di portare il salario minino a 12 euro. Mentre anche Biden vuole portarlo a 15 dollari". Il secondo tassello è il rafforzamento del rdc: "E' un reddito minimo. Un trasferimento di risorse ai due decimi più poveri. Ora si tratta di far funzionare tutto quello che ci sta intorno e che sino ad oggi ha oggettivamente funzionato di meno"
“E’ il momento di mettere in campo interventi contro la precarietà ed i salari bassi e poi occorre favorire l’occupazione di donne e giovani. Perché la crescita c’è ed forte ma deve essere inclusiva. Mentre una crescita trainata da un lavoro che non è stabile certo non lo è“. Il presidente dell’Inps Pasquale Tridico, intervistato da La Stampa, chiede che venga riattivato il decreto Dignità scardinato dalla maggioranza e rilancia sulla necessità di un salario minimo che il governo Draghi ha tolto in extremis dalla versione finale del Recovery plan. “Se avessimo una legge sulla rappresentanza ed una legge che consente di evitare il dumping salariale“, spiega rispondendo a una domanda sulle resistenze dei sindacati (che temono un indebolimento della contrattazione collettiva) e degli industriali, “sarei favorevole a percorrere questa strada. Il nostro modello è molto simile a quello tedesco ed in Germania, con un sistema di contrattazione altrettanto forte, si pensa di portare il salario minino a 12 euro. Mentre anche Biden vuole portarlo a 15 dollari (ovvero 13 euro), questo perché probabilmente si sono resi conto che la frammentarietà, la poca sindacalizzazione di certi settori e l’aziendalizzazione delle relazioni industriali avvenuta negli ultimi 20-30 anni ha causato un certo dumping salariale”. Cioè la concorrenza al ribasso a spese dei lavoratori.
Secondo il presidente Inps, tra i “padri” del reddito di cittadinanza, un valore equilibrato in Italia sarebbe “intorno ai 9 euro lordi, coerente con quanto suggerito da una direttiva Ue dell’anno scorso. Molti studi provano come il salario minimo sopra una certa soglia aumenti la produttività, perché spinge verso investimenti capital intensive e una più efficiente allocazione del lavoro, non fa aumentare la disoccupazione e fa diminuire il lavoro povero. Non è da trascurare l’impatto sulla qualità della vita e la salute, in particolare dei bambini, oltre che su un maggior gettito per la finanza pubblica”. Prima dell’esplosione della pandemia, la maggioranza che sosteneva il precedente esecutivo era vicina a un accordo sulle diverse proposte di legge depositate in Parlamento. L’ipotesi era quella di dare validità erga omnes alla parte salariale dei contratti collettivi nazionali di lavoro maggiormente rappresentativi – in modo tale da tutelare la rappresentanza – e al contempo definire un parametro certo sotto al quale la paga oraria minima non potrà scendere (fissandola ad esempio “al 70% del valore mediano delle retribuzioni”.
Servono poi, dice Tridico, incentivi selettivi per favorire la stabilizzazione. Perché “tutti i dati sono positivi”, “abbiamo un dato molto importante sugli occupati, cresciuti complessivamente quasi di un milione in più rispetto al primo semestre 2020 e cresciuti anche rispetto al 2019″, ma “anche noi notiamo che ci sono molte assunzioni a tempo determinato e disuguaglianze di genere che permangono, come l’alta incidenza di part-time per le donne“. Motivo per cui il salario minimo sarebbe solo un inizio, nella strategia per affrontare il problema del lavoro povero. Un altro tassello è ovviamente il reddito di cittadinanza: “L’Rdc è un reddito minimo. Un trasferimento di risorse ai due decimi più poveri della distribuzione del reddito. Oltre 3 milioni di persone. È un dividendo sociale che lo Stato assicura a tutti i cittadini perché considera che sotto una certa soglia non si può vivere. È uno strumento di contrasto della povertà a cui però è necessario affiancare progetti e processi di inclusione e di formazione. I comuni e i Cpi hanno in questo un ruolo fondamentale. Perché oltre i due terzi dei percettori del reddito minimo non sono occupabili, sono minori, invalidi, e anziani. Gli altri spesso hanno bassa istruzione, neanche la licenza media ed hanno bisogno di strumenti per incrementare le loro competenze. Oggi non si tratta certo di cambiare il reddito di cittadinanza ma semmai di far funzionare tutto quello che ci sta intorno e che sino ad oggi ha oggettivamente funzionato di meno. L’Rdc va reso più inclusivo, come suggerisce anche la commissione ministeriale guidata da Chiara Saraceno, ma questo vorrebbe dire spendere di più, non spendere di meno“.
Nel frattempo aumentano anche – normativa permettendo – i contratti di somministrazione stanno crescendo molto: la precarizzazione sta aumentando anziché calare. “Una delle ragioni può essere la sospensione del Decreto dignità che nel 2019 aveva operato con molta evidenza nel ricomporre il mercato del lavoro a favore del tempo indeterminato e che nel 2021 il legislatore ha deciso invece di sospendere fino al settembre 2022 a causa della pandemia. Anche per questo nonostante la ripartenza cresce l’occupazione a termine e purtroppo permangono le disuguaglianze, e le disparità di genere pure. Appena possibile sarà necessario favorire la stabilità dei lavoratori, anche con incentivi mirati, perché se dobbiamo crescere come stiamo facendo ora, è bene che la crescita sia per tutti. La nostra deve essere una crescita inclusiva mentre una crescita trainata da un lavoro che non è stabile certo non lo è”.
Altre misure da mettere in campo, per Tridico, sono quindi incentivi mirati per giovani e donne: “In questo caso gli strumenti sono molti ma si rivolgono sempre a platee ristrette mentre occorrerebbe alleggerire i criteri di accesso a decontribuzione donna e decontribuzione giovani già introdotti in passato per rendere queste misure più efficaci. E poi servirebbe più attenzione alle giovani madri”. Per quando riguarda le norme sulle pensioni da modificare post quota 100,”forme di flessibilità ne abbiamo diverse. La mia proposta di pensione flessibile (e sostenibile) resta l’uscita a 63 anni col calcolo della sola quota contributiva con la restante quota retributiva che scatta a 67. Poi vedo che lo studio appena concluso da parte della commissione istituita dal ministero del Lavoro, a cui anche l’Inps ha fornito un importante contributo, va nella giusta direzione ed approfondisce il tema delle categorie gravose a cui estendere l’Ape sociale”.
Nel modello contributivo alle donne “vengono già scontati 4 mesi per ogni figlio. Il problema è che oggi sono ancora poche le donne che vanno in pensione con il modello contributivo puro. Però, certo, all’interno di questo modello gli elementi di flessibilità si possono anche creare così. Cito di nuovo la Germania dove è prevista una uscita privilegiata per le lavoratrici con figli e dove ogni figlio vale un anno di contribuzione. Anche noi potremmo accentuare questa misura, ma – ripeto – solo all’interno del modello contributivo”. E per i giovani? “Per loro si può immaginare un modello simile facendo riscattare la laurea in maniera gratuita oppure maggiorando il loro coefficiente di trasformazione per periodi legati alla formazione, o ancora riprendendo un’idea che prima della pandemia era molto citata ovvero introdurre la pensione di garanzia per evitare pensioni povere, in futuro“.