Le ostilità tra i due stati della penisola si sono interrotte nel 1953, ma da allora vige solo un "instabile cessate il fuoco". Questo, secondo Seul, sarebbe il momento di arrivare a una vera propria pace formale. Frena però il vice ministro degli Esteri, Ri Thae Song, braccio destro di Kim
“La dichiarazione di fine della guerra è un’idea interessante e lodevole“. Con queste parole Kim Yo Jong, l’influente sorella del leader nordcoreano Kim Jong Un, ha aperto uno spiraglio alla proposta di riavvicinamento giunta da Seul. Le ostilità tra i due Stati della penisola si sono interrotte nel 1953, ma da allora vige solo un “instabile cessate il fuoco”. Questo, secondo la Corea del Sud, sarebbe il momento di arrivare a una vera pace formale. Frena però il vice ministro degli Esteri, Ri Thae Song, braccio destro di Kim: la riconciliazione è “prematura”.
Il leader supremo, e con lui il futuro della Corea del Nord, è quindi al centro di un’animata contesta tra due dei membri di maggior spicco della politica nazionale. La sorella ha dichiarato all’agenzia Kcna di essere disponibile a discutere con il presidente Moon Jae-in il miglioramento dei rapporti intercoreani. Ma per il vice della diplomazia di Pyongyang – che ha parlato alla stessa agenzia – la fine del conflitto non offre garanzie del “ritiro della politica di inimicizia degli Stati Uniti verso il Nord”. Kim dal canto suo si mantiene cauto, ma non chiude totalmente: “Se la Corea del Sud si allontana dal passato, in cui ci ha provocato e ci ha criticato ad ogni passo con il suo doppiogiochismo, e ripristina la sincerità nelle sue parole e azioni e abbandona le sue cattive abitudini e il suo linguaggio ostile – ipotizza – saremmo disposti a riprendere una stretta comunicazione e impegnarci in discussioni costruttive sul ripristino e lo sviluppo delle relazioni”. Per il momento non esistono ancora le “giuste condizioni, ma persistono due pesi e due misure e pregiudizi verso Pyongyang”. L’equilibrio strategico nella regione indopacifica poi sarebbe ancora troppo delicato, soprattutto dopo la nascita di Aukus, alleanza in chiave anti-cinese tra Australia, Regno Unito e Usa, che prevede di dotare Canberra di sottomarini a propulsione nucleare: “Bisogna capire chiaramente – ha dichiarato Ri Thae Song – che il patto non aiuta in assoluto a stabilizzare la situazione“, ma potrebbe essere un pretesto per “coprire le politiche ostili degli Usa, che sono il il principale ostacolo per porre una fine alla guerra”. In questo contesto le conseguenze della pace potrebbero essere “disastrose“.
Nel 2018 Kim e Moon si erano già incontrati tre volte per concordare la fine del conflitto, ma poi, anche a causa dell’azione di alcuni disertori del Nord fuggiti nel Sud che inviano oltre la frontiera palloncini con volantini critici contro il regime, la tensione era aumentata e non si era arrivati a nulla. Le relazioni bilaterali si erano ulteriormente raffreddate nel 2020: dopo che la Corea del Nord aveva fatto esplodere con la dinamite l’ufficio di collegamento nella città di confine – sul suo territorio – di Kaesong, tutte le comunicazioni transfrontaliere – compresa la linea diretta fra i leader dei due Paesi – si erano interrotte fino al giugno di quell’anno. Anche dopo il loro ripristino però, Pyongyang non aveva più risposto alle chiamate regolari di Seul, per protesta contro le manovre militari condotte in estate insieme a Washington, una prova di invasione ai suoi danni, secondo Kim. I due uffici governativi da luglio in poi avevano ripreso a scambiarsi lettere, fino all’ultimo sgarbo recente del Nord: i test di lancio di missili cruise a lungo raggio, seguiti da due missili balistici a gittata corta. A luglio 2021, un colloquio telefonico di tre minuti – secondo il ministero dell’Unificazione della Corea del Sud – aveva ripristinato le intenzioni di riavvicinamento, culminate nella dichiarazione di Moon davanti all’assemblea delle Nazioni Unite: per lui la proposta è il “punto di partenza fondamentale” di un nuovo ordine di riconciliazione.