Il capogruppo leghista alla Camera Riccardo Molinari, segretario del Carroccio in Piemonte, è stato rinviato a giudizio dal gup di Torino per il reato di falso, insieme al segretario provinciale (e deputato) Alessandro Benvenuto e a un militante del partito, il funzionario regionale Fabrizio Bruno. L’accusa riguarda la cancellazione dalla lista (già chiusa) della Lega, alla vigilia delle elezioni comunali di Moncalieri nel 2020, di Stefano Zacà, medico ed ex dirigente locale di Forza Italia passato al partito di Matteo Salvini: secondo il pubblico ministero Gianfranco Colace, Molinari si è attivato per depennare il suo nome allo scopo di non irritare Paolo Zangrillo, deputato azzurro, commissario piemontese del partito e fratello di Alberto, il medico personale di Silvio Berlusconi.
Zangrillo, infatti – residente a Moncalieri – si sarebbe sentito offeso dalla candidatura del “transfugo“, giudicando il cambio di casacca un affronto politicamente inaccettabile. Così – sempre in base all’ipotesi accusatoria – Molinari si attivò con Benvenuto per farlo cancellare da una elenco di 24 candidati che era già stato sottoscritto da 76 elettori. A compiere materialmente la falsificazione fu Bruno, in qualità di rappresentante di lista. In seguito la candidatura di Zacà era stata riammessa dal Tar – con la Lega che si era appellata alla discrezionalità politica per giustificare l’esclusione – e il medico era addirittura risultato il più votato nella lista.
L’indagine è nata da un esposto dei Radicali italiani, presentato tramite l’avvocato Alberto Ventrini: Zacà, presunta parte offesa, si è costituito parte civile con l’avvocato Fabio Ghiberti. La prima udienza del processo è fissata al 24 novembre 2022. Secondo il difensore di Molinari, Luca Gastini, il dibattimento è stato ritenuto necessario dal giudice solo per l’assenza di “prove certe di non colpevolezza“. “È contestato un falso rispetto ad atti che non potevano avere rilevanza sulla candidatura”, dice. “Il nome di Zacà non era contenuto nella lista e non era stata presentata la sua dichiarazione di accettazione. Che il nome, negli atti separati, fosse barrato o meno, non avrebbe cambiato nulla”. Il capogruppo della Lega si è allontanato dal Palazzo di Giustizia senza rilasciare dichiarazioni.