Nelle ultime settimane ho affrontato (qui e qui) il tema del modello organizzativo previsto (ma non obbligatorio) dal d.lgs 231/2001 per le piccole imprese.
In sintesi il D. Lgs 231/2001 disciplina la responsabilità delle società per gli illeciti amministrativi. In altri termini, nel caso in cui un dipendente o un amministratore compia nello svolgimento delle sue funzioni un reato previsto dal decreto, vengono previste delle sanzioni di carattere amministrativo e penale anche per l’azienda nel caso in cui la stessa non abbia adottato procedure, protocolli e regolamenti previsti da un “modello organizzativo” che la esoneri dalle responsabilità.
A tal riguardo, ho ricevuto diverse ed educate segnalazioni da parte di tanti imprenditori che si (e mi) chiedevano: “Ma se l’adeguamento del modello organizzativo di una piccola azienda ai dettami del d.lgs 231/2001 non è, al momento, obbligatorio, perché parlarne allora e, ancor di più, farlo?”.
Indipendentemente dai danni non solo a livello economico ma anche reputazionale e di immagine che ne deriverebbero in caso di mancato adeguamento, con il rischio estremo della cessazione dell’attività di impresa, e tenendo presente che – così come sottolineatoci dall’Avv. Antonello Grassi – la disparità geografica di contestazione del crimine di impresa da parte dei tribunali (al Nord le procure contestano i reati mentre al Sud no) è solo momentanea, è bene precisare che se lo scopo del decreto era solo quello di evitare le conseguenze sanzionatorie della commissione del reato il segnale sarebbe stato poco incidente sulla effettiva portata della normativa in questione.
Infatti, il timore della sanzione viene spesso percepito, così come evidenziato in molti casi pratici, qualcosa di distante dalla propria attività imprenditoriale, come un qualcosa che può capitare solo agli altri.
Proprio in questa fase temporale, caratterizzata dall’emergenza Covid, l’adattamento del modello organizzativo alle regole del decreto ha movimentato la vita di tante piccole imprese, soprattutto con riferimento alla protezione della salute dei lavoratori dal rischio di contagio e, di riflesso, per la salute dell’imprenditore e dell’impresa per i possibili effetti indesiderati in termini sia di responsabilità civile che penale ed amministrativa.
Proprio questa straordinarietà non può, però, essere considerata meramente di passaggio, ma dovrà rappresentare la maturazione della consapevolezza della centralità di questo processo nella gestione delle imprese, influenzandone l’ambiente operativo attraverso le cosiddette best practice, permettendo a tutti, apicali e subordinati, di conoscere meglio ed in profondità le procedure e le pratiche aziendali, comprendendo i rischi ed imparando a valutarli ed a tal fine aiutati da quello che, della normativa e della sua adeguatezza, è una componente caratteristica e centrale: l’Organismo di Vigilanza.
A tal proposito un esempio pratico potrebbe risultare particolarmente rilevante.
In una azienda si è verificato che l’Ufficio Acquisti, onde risparmiare su una fornitura di speciali guanti protettivi da utilizzare nell’esecuzione delle mansioni lavorative, abbia autorizzato l’acquisto di una partita di dispositivi (guanti appunto) non adeguati. A seguito di infortunio sul lavoro occorso ad un proprio lavoratore in quanto sprovvisto di guanti idonei, quest’ultimo ha subito ustioni particolarmente gravi alle mani, con conseguente imputazione in capo all’amministratore del reato di lesioni colpose gravi e, al contempo, l’iscrizione dell’Azienda quale responsabile ex D.Lgs. n.231/01 per la medesima fattispecie di reato.
In tal caso una corretta indagine da parte dell’Organismo di Vigilanza, svolta con i mezzi di cui dispone (analisi organizzativa, verifica delle procedure, interviste ai dipendenti, ecc., ecc.), avrebbe rilevato la criticità (acquisto di guanti non idonei) e, nel caso in cui la stessa avesse deciso di seguire le preziose indicazioni, evitato in via preventiva la realizzazione della condotta penalmente rilevante sia per la persona fisica che per quella giuridica.
Perché una cosa è adottare il modello, un’altra attuarlo.
Adottare il modello 231 significa, di fatto, scriverlo, predisporre i documenti di cui necessita e basta. Una fase formale che richiede un coinvolgimento della struttura aziendale che potremmo definire passivo.
Attuare il modello 231, invece, significa farlo funzionare, cioè mettere in pratica i protocolli stilati e predisporre un Organismo di Vigilanza (Odv) – esterno o a composizione mista o, nel caso delle piccole realtà, interno purché formato o coadiuvato da professionisti che garantiscano le corrette attività di controllo – che vigili sul corretto funzionamento delle prescrizioni.
Ma tale Organismo non deve essere ritenuto, come talvolta avviene, un “nemico” dal quale rifuggire senza comunicare adeguatamente gli eventuali illeciti e le eventuali violazioni del Modello (l’importanza di una comunicazione tra l’Azienda e l’OdV è fondamentale per una corretta e concreta applicazione del Modello stesso), considerandolo quasi a mo’ di un’Autorità di Controllo esterna (Asl, Guardia di Finanza, ecc) pronta a sanzionare l’eventuale irregolarità riscontrata, nonché il suo autore, bensì un soggetto preposto a coadiuvare l’impresa nella prevenzione non solo degli illeciti penalmente o meno sanzionabili, ma delle scorrette prassi aziendali.
In sostanza, l’Organismo di Vigilanza, pur senza determinare le scelte aziendali, ben può esserne indirettamente l’ispiratore.
Solo in questo modo l’imprenditore, in una sana collaborazione con i professionisti preposti, comprenderà la funzione preventiva e rivoluzionaria della norma e sarà indotto a valutarla come un costante check up aziendale di diffusione di importanti capisaldi organizzativi quali la regolamentazione dei processi, la individuazione dei compiti, la tracciabilità e controllabilità delle operazioni, la coerenza tra deleghe e poteri degli amministratori e degli apicali.
Non deve essere e non sarà l’obbligatorietà stabilita per legge dell’adozione del Modello Organizzativo secondo i parametri dettati dal D.Lgs. n.231/01, che giace in Parlamento per l’approvazione da circa tre anni, né quella fattuale, collegata alle necessità volta ad acquisire un maggior punteggio per la partecipazione ad una gara o all’ottenimento del famigerato rating di legalità, a dare concreta attuazione a questo necessario adeguamento.
Infatti, solo l’effettiva consapevolezza da parte degli imprenditori ed anche dei professionisti del settore, che non dovranno limitarsi ad essere semplicemente promotori del “prodotto” a mò di procacciatori di affari, lasciando all’azienda il compito di fronteggiare le eventuali criticità, potrà garantire una visione completa del panorama gestionale che la normativa in questione, così come correttamente interpretata e strutturata, può offrire.
Solo in questo modo, è auspicabile la doverosa presa di coscienza e conseguenziale responsabilizzazione, investendo sulla prevenzione del rischio senza più considerarlo come un “malaugurio” o un costo da esorcizzare, cogliendo la preziosa opportunità per uno sviluppo del sistema impresa nel mercato italiano.
E’ un po’ come il vaccino anti-covid: non è obbligatorio ma lo devo fare!