di Antonio Caputo
L’aula di una classe “può accogliere la presenza del crocifisso quando la comunità scolastica interessata valuti e decida in autonomia di esporlo, eventualmente accompagnandolo con i simboli di altre confessioni presenti nella classe e in ogni caso ricercando un ragionevole accomodamento tra eventuali posizioni difformi”. È quanto stabilito dalla corte di Cassazione (sentenza n. 24414, pubblicata il 9 settembre) che a Sezioni Unite, si è occupata dell’affissione del crocifisso nelle aule scolastiche.
La questione esaminata dalla Cassazione riguardava la compatibilità tra l’ordine di esposizione del crocifisso, impartito dal dirigente scolastico di un istituto professionale statale sulla base di una delibera assunta a maggioranza dall’assemblea di classe degli studenti, e la libertà di coscienza in materia religiosa del docente che desiderava fare le sue lezioni senza il simbolo religioso appeso alla parete.
La Corte ha affermato che la disposizione del regolamento degli anni Venti del secolo scorso – che tuttora disciplina la materia, mancando una legge del Parlamento – è suscettibile di essere interpretata in senso conforme alla Costituzione.
“L’aula può accogliere la presenza del crocifisso quando la comunità scolastica interessata – spiega la Cassazione – valuti e decida in autonomia di esporlo, eventualmente accompagnandolo con i simboli di altre confessioni presenti nella classe e in ogni caso ricercando un ragionevole accomodamento tra eventuali posizioni difformi”. Il docente dissenziente, si legge, “non ha un potere di veto o di interdizione assoluta rispetto all’affissione del crocifisso, ma deve essere ricercata, da parte della scuola, una soluzione che tenga conto del suo punto di vista e che rispetti la sua libertà negativa di religione. Nel caso concreto le Sezioni Unite hanno rilevato che la circolare del dirigente scolastico, consistente nel puro e semplice ordine di affissione del simbolo religioso, non è conforme al modello e al metodo di una comunità scolastica dialogante che ricerca una soluzione condivisa nel rispetto delle diverse sensibilità”. Per questo è decaduta la sanzione disciplinare inflitta al professore.
“L’affissione del crocifisso – al quale si legano, in un Paese come l’Italia, l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo – non costituisce un atto di discriminazione del docente dissenziente per causa di religione. Non è stata accolta la richiesta di risarcimento danni del docente, in quanto non si è ritenuto che sia stata condizionata o compressa la sua libertà di espressione e di insegnamento”, conclude la nota della Cassazione. Una sentenza cerchiobottista molto complicata sul piano della logica per cui non è ammesso il principio di contraddizione.
Nel senso che non puoi tenere il crocifisso in un locale pubblico e di proprietà pubblica senza che altre persone di religione diversa o senza alcuna religione non si sentano discriminate o a sfavorite. La Costituzione italiana ha sancito il principio supremo di laicità dello stato e delle istituzioni, che non vuol dire indifferenza o negazione, ma unicamente sancire la non ammissibilità di una religione di stato come tale espressa anche tramite simboli religiosi esposti in luoghi pubblici e dunque comuni a tutti, senza distinzioni di credo o di religione. Il problema ignorato dalla Cassazione non è allora quello della ipotetica offensività del simbolo, che è una questione soggettiva e opinabile. Ma il fatto obiettivo della esposizione di quel simbolo che è espressione della religione non da tutti professata.
E anche se tutti la professassero, non per questo l’esposizione del simbolo non contrasterebbe con il principio di non confessionalità dello Stato e delle Istituzioni. A meno che alla moda talebana non fosse possibile una religiosità di Stato garantita da norme quali la sharia o non rivivere il in hoc signo vinces costantiniano. La sentenza segna un arretramento di comodo nella affermazione del principio di laicità.
Resta comunque sullo sfondo il principio di laicità scolpito nel 2000 dalla Cassazione in una sentenza che sinora pareva un punto fermo. Con tale sentenza n.439/2000, la Cassazione affermò che le norme regolamentari sull’esposizione del crocifisso sono implicitamente abrogate in quanto incompatibili con il carattere laico e pluralista dell’ordinamento costituzionale repubblicano, richiamando i principi fissati dalla Corte costituzionale in tema di libertà religiosa e di laicità dello Stato e precisando che l’esposizione, in quanto collegata al valore simbolico di una intera civiltà o della coscienza etica collettiva, urta con il “chiaro divieto” posto in materia dal principio costituzionale di uguaglianza.
Ora le Sezioni unite della Cassazione, confusamente e contraddittoriamente (tra l’altro è stata annullata la sanzione al professore che aveva rimosso il crocifisso la cui esposizione, viceversa, secondo il Supremo Collegio sarebbe certamente possibile) pone argomenti e un punto di vista contrastante con quella sentenza, giustamente ritenuta, nell’ultimo ventennio, un riferimento essenziale per il rispetto della nostra Costituzione.