Ricordo che la prima volta che mi interessai al comune di San Vito Lo Capo fu quando lessi che esisteva un comitato che si batteva contro una nuova cementificazione legata al porto turistico. Era l’epoca in cui raccoglievo testimonianze sui danni che i porti (erroneamente definiti “porticcioli”) arrecano alla costa dove vengono realizzati, porti che si moltiplicarono grazie al “decreto Burlando” (uno dei tanti favori che i post- comunisti hanno fatto e fanno ai ricchi).
Ne uscì il saggio Il mare privato, che a tutt’oggi rimane l’unico studio dedicato alla problematica dei porti turistici. In quella occasione mi misi in contatto con il comitato che si batteva contro il nuovo cemento e mi ripromisi di andare a verificare di persona lo stato dei luoghi, anche – non lo nego – attirato dalla bellezza del territorio, specie per due splendide particolarità: una spiaggia di sabbia fine e tante pareti di solidissimo calcare a due passi dalla costa.
Quello che emerse però durante la mia permanenza fu molto di più della scoperta che quel porto turistico aveva causato l’arretramento della spiaggia di alcune decine di metri (come accade appunto spesso per queste opere, che deviano il flusso delle correnti), ma che San Vito era in realtà un caso di scuola dell’impatto del turismo di massa, e, in particolare, del turismo di massa monoculturale e monostagionale: legato esclusivamente alla balneazione.
Decisi allora – anziché andare a fare dei bagni… – di dedicare la mia permanenza a raccogliere testimonianze di chi viveva a San Vito affinché me ne raccontasse gioie ma anche dolori. Dolori prevedibili, come il traffico; come i servizi deficitari nella stagione estiva; come i collegamenti inesistenti con l’aeroporto; come gli incendi che regolarmente vengono dolosamente appiccati ogni giorno che spira il forte vento di scirocco; come l’assoluta mancanza di segnaletica delle bellissime grotte e delle altrettanto belle falesie. Tutte problematiche di San Vito, ma esportabili tranquillamente in molte altre località che vivono di un turismo che potremmo definire “a senso unico”.
Insomma, San Vito è un esempio di scuola di come il turismo di massa possa avere anche aspetti fortemente negativi. Del resto, estendendo l’angolo di visuale: non è forse vero che il turismo è l’industria più impattante al mondo? E non lo dico io, non lo dicono gli ambientalisti. Lo dice uno studio del Nature Climate Change del 2018: direttamente, il turismo è responsabile dell’8% delle emissioni di CO2 a livello planetario. E già questo è un dato rilevante. Ma, e indirettamente? Pensiamo solo al fenomeno dei resort che hanno stravolto gli ecosistemi e l’economia di molte zone del mondo; oppure al fenomeno delle seconde case; oppure a quello dello sci di pista e della neve artificiale; per arrivare ai campi da golf nel deserto.
Ma c’è anche un altro aspetto da considerare: se una popolazione cambia le proprie abitudini e si dedica esclusivamente al turismo, cioè al terziario, se poi questo settore entra in crisi, come è capitato adesso con la pandemia, che succede? Proprio nel pieno della pandemia, mantenni i contatti con un mio caro amico che fa anche la guida turistica nelle Eolie. “Com’è lì?” “Eh, come vuoi che sia: è la morte. Qui tutto ormai gravita intorno al turismo.”
Alla fin fine, il libro che ho scritto San Vito Lo Capo. Sicilia. Italia. Ripensare il turismo di massa. E non solo mira all’ambizioso fine che si smetta di pensare che una località solo perché è turistica è necessariamente e solo bella. Fra i tanti inquinamenti, forse quello più pericoloso è quello delle nostre menti!
Foto di Fabio Balocco