Roma, la Lega non riempie la piazza di Tor Bella Monaca. Salvini nega divisioni interne o con Meloni, ma la base ammette: “Momento difficile”
In ordine sparso, a caccia di voti in vista delle elezioni
amministrative del 3 e 4 ottobre, in un derby a distanza tra
Roma e
Milano. Se la leader di Fratelli d’Italia,
Giorgia Meloni, che da mesi
marca il Carroccio e sogna il sorpasso, è salita sul palco di Piazza Duomo, nella città simbolo del rivale-alleato, accanto al candidato sindaco
Luca Bernardo, dalla Capitale il segretario leghista
Matteo Salvini l’ha sfidata dalla
periferia, scegliendo di chiudere la campagna elettorale della Lega accanto al candidato del centrodestra
Enrico Michetti,
a
Tor Bella Monaca. Senza però riuscire a scaldare attivisti ed elettori. Perché al comizio leghista, seppur organizzato in uno spazio tutt’altro che imponente, poco più della metà del piazzale Largo Ambrogio Brambilla,
soltanto poche centinaia sono state alla fine le
persone presenti. Cinquecento al massimo, compresi giornalisti, candidati municipali e comunali, dirigenti di partito. E pure le delegazioni in arrivo da tutta la Regione, da Rieti a Sora, fino ai Castelli romani. Così, mentre la piazza ha punito il Carroccio, anche l’unità interna alla coalizione è rimasta lontana. “Al
centrodestra manca una leadership, se c’è chi sta al governo e chi all’opposizione, è difficile avere un leader che decide per tutti”, aveva provocato Meloni. “Abbiamo deciso di non stare nei
salotti buoni frequentati da Calenda, Gualtieri, Raggi e qualche cinghiale”, ha replicato dalla periferia romana Salvini, nel vecchio feudo della sua alleata. Quella stessa Meloni che, a sua volta, aveva scelto la piazza principale di Milano come tappa più importante del suo tour lombardo.
E seppur Salvini dal quartiere periferico della Capitale si sia sforzato di nascondere le divergenze (“I miei avversari sono il
Pd, la Regione di
Zingaretti, Grillo e la
Raggi, il centrodestra è maggioranza nel Paese”, ha tagliato corto) la battaglia interna ha mostrato tutti i segni del logoramento, tra frecciate incrociate e campagne acquisti (
come quella della Lega in casa Forza Italia, ndr) in casa altrui. Salvini si è però mostrato sicuro di vincere la sfida, almeno nella Capitale: “Saremo la sorpresa delle elezioni. E Michetti arriverà al
ballottaggio con dieci punti di vantaggio”, ha rivendicato dal palco. “Non solo è il candidato giusto, ma sarà il sindaco giusto per Roma”. Ma i problemi per Salvini,
nei giorni complessi di una segreteria mai messa così in discussione, sono anche in casa leghista, dopo esser finito, di fatto, in minoranza su
green pass e
vaccini, rispetto alla linea pragmatica di
Giancarlo Giorgetti e dei
governatori del Nord, da
Luca Zaia a
Massimiliano Fedriga. Con l’ombra pure di una
scissione evocata, nel pieno dello scontro tra Lega governista e ala populista. “
Non c’è nessuna separazione nella Lega, quelle sono altrove. C’è una sola Lega che è al governo e ottiene risultati”, ha continuato a negare il segretario, per poi rituffarsi nelle fatiche di piazza, diretto verso Latina e Sora. Tappa dopo tappa, con l’incubo del
sorpasso di FdI. “Qui si eleggono i sindaci. Alle politiche, quando si faranno, si deciderà chi farà il premier”, ha replicato, stizzito e infastidito dal confronto interno.
Una partita nella quale resta sullo sfondo, invece, Forza Italia, un’altra che organizzerà kermesse per conto proprio. Eppure Salvini promette: “Ci saranno iniziative congiunte”. Forse qualche conferenza stampa, in realtà, nulla di più. E i militanti? La gran parte prova a sdrammatizzare: “Niente unità in piazza? La competizione tra noi è sana, l’importante è vincere. E per ora ognuno parla al suo elettorato”. E ancora: “È la stampa che alimenta e inventa le nostre divisioni, per affossare la Lega“, si lamentano altri. Ma, di fronte alle uscite pubbliche di Fedriga e Giorgetti, c’è chi ammette e attacca: “Nel partito ci sono opinioni differenti, ma senza Salvini loro non avrebbero alcun incarico, non conterebbero nulla”. “La verità è che fuori dal governo Meloni è più libera. Ma, vedrete, la scelta pagherà”. Certo, ora nemmeno un Congresso sembra più un tabù: “Se domani si vorrà fare, si farà. Ma oggi è Salvini che tiene unita la Lega”, lo difende il consigliere capitolino ricandidato Davide Bordoni. L’ala governista, invece, attende. Almeno fino al giorno e al risultato delle urne.