Il 26 settembre è arrivato e San Marino si prepara a un appuntamento con la storia, che l’Unione delle Donne Sammarinesi reclama da 18 anni. Domani, infatti, con un referendum popolare i cittadini sammarinesi saranno chiamati a scegliere se rendere legale o meno l’aborto entro le 12 settimane di gravidanza e anche oltre questo periodo in caso di pericolo di vita per la donna o per gravi malformazioni del feto. “Siamo sotto grande pressione – commenta a Ilfattoquotidiano.it la presidente Uds Karen Pruccoli – Il comitato del ‘no’ ha dalla sua parte il maggiore partito del Paese, la Democrazia Cristiana, insieme alla Diocesi, il Vescovo, gli scout, Comunione e Liberazione, Carità senza Confini, Azione Cattolica, Provita&Famiglia, tutta la Chiesa e anche il Papa. Se vinciamo è una bella vittoria”.
Come ci raccontava la presidente Pruccoli a luglio, sono 18 anni che l’Unione delle Donne Sammarinesi cerca di rendere legale l’aborto nella Repubblica del Titano. A San Marino, infatti, ancora oggi abortire è considerato un reato, in tutti i casi. Quando la donna è in pericolo di vita, quando la gravidanza avviene a seguito di uno stupro o nel caso di gravi malformazioni del feto. Il codice penale di San Marino, rimasto più o meno invariato dal 1865, prevede infatti all’articolo 153 e 154 “la reclusione da tre a sei anni per ogni donna che abortisce e per ogni persona che la aiuta e che procura l’aborto”. Per questo, fino ad oggi, le sammarinesi per interrompere volontariamente la gravidanza erano costrette ad andare all’estero. “Spesso a spostarsi negli ospedali dell’Emilia Romagna, dove per abortire spendevano come minimo 1.500 euro più le spese dell’albergo”, ci racconta la presidente Uds. Ma quante donne hanno fatto ricorso alla pratica nella regione guidata dal governatore Stefano Bonaccini (Pd), non è dato saperlo: dato che l’Ausl non ha mai fornito i dati né all’Uds, né a Ilfattoquotidiano.it che da luglio ne ha fatto richiesta.
Negli ultimi sette anni l’Unione delle Donne Sammarinesi ha tentato tutti gli strumenti previsti dalla democrazia diretta per ottenere il diritto all’aborto, che in Italia è legge dal 1978. L’Uds ha infatti tentato la strada delle Istanze d’Arengo (richieste di pubblico interesse), due disegni di legge di iniziativa popolare, nel 2014 e nel 2019, “finché nel 2020 – spiega la presidente Pruccoli – abbiamo deciso di muoverci verso il referendum, raccogliendo le 3mila firme necessarie per indirlo”.
Guardando al passato, San Marino mostra un ritardo esteso e storico in tema di diritti: la legge per il voto alle donne passivo è entrata in vigore nel 1974, 28 anni dopo rispetto all’Italia, quella per il divorzio nel 1986, con 16 anni di ritardo. Mentre, con due anni di ritardo, dal 2018 si celebrano le unioni civili anche all’interno della Repubblica. “Per l’aborto”, commenta Pruccoli, “i tempi non sono maturi, sono maturissimi. E quando guardiamo alle nuove generazioni siamo ancora più fiduciose”.
All’interno dell’Europa, oltre San Marino, sono due le micro nazioni in cui l’aborto è ancora totalmente illegale: Andorra e Malta. Fino a qualche mese fa, nell’elenco rientrava anche Gibilterra, che il 24 giugno in seguito a un referendum popolare ha reso l’interruzione della gravidanza legale. “Siamo in costante dialogo con le donne di Malta, dell’Andorra e di Gibilterra. Rimaniamo vicine alle donne polacche, che si sono viste ridurre ulteriormente il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza. Abbiamo ricevuto grande riscontro da parte della cittadinanza, domani sarà un appuntamento con la storia dei diritti della donne, speriamo di farcela”, conclude la presidente Pruccoli.