Il discorso che il premier Mario Draghi ha tenuto dinanzi alla platea di Confindustria è una straordinaria ammissione delle difficoltà in cui versa il governo e della tempesta perfetta che presto si scatenerà contro i lavoratori. Draghi è uno che può permettersi di dire come stanno le cose, ma le dice di modo tale che solo i più attenti possano comprenderlo, così come solo i più attenti hanno compreso il perché il Mes sia completamente sparito dal dibattito pubblico e dall’agenda del suo governo.
Con la stessa tecnica di analisi con cui sono riuscita a raccontarvi con largo anticipo i motivi dell’incompatibilità tra Draghi e il Mes, adesso proverò a spiegarvi perché ritengo il suo discorso la confessione di un premier che sa di “navigare a vista” nel mare aperto della crisi globale, e che pertanto per sopravvivere ripiegherà sull’unica cosa che l’Italia e l’Europa intera sono riusciti a fare sino a ora: colpire i redditi da lavoro al motto del “siam tutti sulla stessa barca”. Tante parole, ma pochi elementi chiave.
Dopo un’astuta combinazione di frasi rassicuranti (a luglio il numero di occupati è cresciuto di 440mila unità… compito del governo e delle parti sociali è fare in modo che questa ripresa sia duratura e sostenibile… dobbiamo scongiurare i rischi congiunturali…), Draghi espone le condizioni del “patto” che intende raggiungere con gli industriali, che in tema di lavoro pare ruotino attorno a un obiettivo: un invito a evitare la tonnara di lavoratori, perché altrimenti si alimenta il conflitto e a questo governo serve invece la pace sociale (“preservare buone relazioni industriali, perché assicurino equità e pace sociale…”) per potere attuare i propri piani.
Insomma, il senso è non fare casino con i sindacati, che seppur non invitati a questa festa tutta datoriale (tanto se ne faranno altre) sono stati di fatto i destinatari indiretti di questo e altri messaggi rincuoranti (“portare l’Italia in un sistema di crescita inclusiva che consenta la mobilità sociale…”). Dopo aver condito con un po’ di paura il suo invito a comportarsi bene (c’è il rischio di nuove chiusure), passa alla fase due, per gli industriali certamente più interessante. Cosa intende fare il governo per i loro affari?
Dopo le dovute premesse sull’aumento dei prezzi in alcuni settori, compreso quello alimentare, che tocca tutte le fasi di produzione, ha detto loro di puntare sulla crescita della produttività per evitare il rischio di perdita di competitività internazionale, specie qualora la ripresa dell’inflazione si riveli duratura. Il governo, prosegue, sta studiando le strategie per ridurre le vulnerabilità dell’economia italiana, anche con interventi volti a ridurre il rincaro energetico. Particolare attenzione viene posta al tema della produzione di semiconduttori, essenziale per la digitalizzazione e la mobilità elettrica, per cui a livello mondiale la domanda supera l’offerta. Per tale settore il governo si è impegnato a investire nella ricerca e nell’attrazione di investimenti.
Non poteva ovviamente mancare il tema della “transizione digitale”. Questo, cari lavoratori, vi deve preoccupare particolarmente, poiché mentre voi, giovani e meno giovani, siete alle prese con lo sfruttamento indotto dall’uso intensivo della tecnologia – che ormai domina in molti settori – il premier Draghi presenta una versione idilliaca del fenomeno, che forse poteva essere suggestiva venti anni fa: “Intendiamo migliorare la vita di cittadini e di imprese e dotare soprattutto i giovani delle capacità necessarie per essere pronti per i lavori di domani e anche di oggi”.
I lavori di domani li possiamo già anticipare, perché sono quelli che svolgono i dipendenti di Amazon, delle società che gestiscono i riders, delle società di outsourcing, dei call center, giusto per fare qualche esempio. Si tratta di lavori la cui organizzazione è incentrata sull’uso delle tecnologie digitali più all’avanguardia, che consentono il controllo e la standardizzazione dei lavori a livelli impressionanti, e dove la produttività è sempre più legata alla capacità dei lavoratori di svolgere le mansioni nel minor tempo possibile, quindi allo sfruttamento di chi le svolge. Siccome le imprese sanno il fatto loro, l’invito a spingere per la digitalizzazione e per l’aumento della produttività, altro non è che un invito (consapevole o no poco importa) a sfruttare ancor di più i lavoratori. Forse dovrebbero essere i giovani sfruttati a dotare il governo delle capacità necessarie per capire quanto questa tanto auspicata digitalizzazione trascinerebbe il paese in una profonda crisi sociale.
Ma le richieste di Draghi al mondo imprenditoriale non si fermano mica all’ambito del lavoro, il vero campo di scontro tra governo e Confindustria potrebbe essere il Pnrr, perché come ricorda il premier mica sono “aiuti”, sono soldi in prestito in cambio di riforme, che vengono erogati in tranche solo se lo Stato debitore esegue in dettaglio tutte le richieste di Bruxelles, che ricadono ovviamente sulla testa, o meglio sulle tasche, dei cittadini. In pratica, siamo tornati alla versione originaria della Troika, ossia quella gestita dalle istituzioni interne all’Ue, abbandonando di fatto la versione Mes, ossia quella che tramite un trattato esterno all’Ue attribuisce un potere enorme di commissariamento sugli altri paesi a Germania e Francia.
Ad ogni modo, come ho documentato più e più volte, qualsiasi sia la versione, per il momento si tratta dello stesso trattamento riservato alla Grecia, ma anche a Cipro e Portogallo, da cui si evince chiaramente la matrice classista, austera e pro capitalista delle riforme richieste. Non deve essere tralasciato il fatto che Draghi ricordi agli industriali quanto l’impegno del suo governo sia legato al commissariamento dell’Italia e che uno dei punti fermi sia il rafforzamento dell’economia attraverso l’apertura dei mercati (più globalizzazione) e “non la difesa delle rendite”, quasi come a volere avvertire che alcune riforme non piaceranno nemmeno a loro, e dunque non solo ai lavoratori.
L’impressione non è tanto che Draghi abbia voluto dire a quelli di Confindustria che avrebbe fatto i loro interessi, ma che ci sia un programma di sviluppo europeo da rispettare (più globalizzazione altrimenti non ci danno i soldi), senza che risulti in fondo chiaro qual è la fetta di torta che spetta agli imprenditori italiani. Sembra invece certo che non vi è interesse da parte del governo a tutelare i redditi da lavoro (di quelli che ancora hanno uno stipendio decente), nel senso che l’unico argomento trattato ha riguardato la ricollocazione dei disoccupati, e quindi il solo tema della quantità di posti di lavoro e non della qualità degli stessi. Quindi, poco importa che chi perde un lavoro ne ritrova uno più precario e con metà dello stipendio, l’importante è che il governo possa vendere alle masse l’aumento dell’occupazione.
Il premier deve stare molto attento, perché se in questo momento storico è molto semplice far ricadere il peso delle crisi sui lavoratori e sui cittadini in generale, oggi d’altro canto il potere della politica sul capitale è ai minimi, quindi il rischio che ci finisca lui nella tonnara non è così impossibile. Draghi rischia di commettere l’errore di non considerare che per i capitalisti vi è una enorme differenza tra il dialogare con il premier di uno dei tanti paesi europei e il dialogare con il presidente della Bce, e lui non lo è più. Ma rischia anche di sottovalutare, come pare emergere dal suo discorso, l’impotenza della politica dinanzi all’attuale fase di globalizzazione, e dunque in danni che un’ulteriore spinta alla globalizzazione può provocare sul futuro dei singoli paesi europei.
Quel che si nota infine nel suo discorso, è che nel marasma della crisi e della globalizzazione selvaggia il governo stia navigando a vista, e agli industriali questo non sfugge, il che li spingerà ulteriormente a cercare di prendere quello che si può dove si può, in primo luogo il mondo del lavoro. Penso proprio che la tonnara ci sarà, bisogna capire quanti ci finiranno dentro oltre ai lavoratori.