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Gabriel Garko in esclusiva a FQMagazine: “Vorrei un figlio. Non mi spaventa invecchiare ma la malattia. Mi curo ma niente ritocchi, come insinuano alcuni con le loro labbra a canotto”

Un anno dopo essersi tolto tutte le maschere, anche quelle più ingombranti, per l'attore è tempo di tirare una riga. Non per fare bilanci che rischiano di non quadrare, ma per guardarsi allo specchio, finalmente riconoscersi e poter dire agli altri: questo sono io. Il personaggio che ha rischiato di cannibalizzare la persona – Dario Gabriel Oliviero, nato a Torino nel 1972 – è svanito un attimo prima che fosse troppo tardi

di Francesco Canino

Gabriel, che momento della sua vita sta attraversando?
Strano. Di riadattamento. Non è facile spiegarlo, perché da una parte è come se mi sentissi nudo ed esposto, dall’altra come se mi stessi adattando dopo aver ritrovato me stesso e i miei spazi.

Senza la maschera si vive meglio?
Il problema nel mio caso è che mi ero abituato a indossare tante maschere – un po’ per scelta, un po’ per costrizione – ma in nessuna stavo davvero comodo. Oggi mi ritrovo a 49 anni ad affrontare una rinascita totale, a respirare a pieni polmoni.

È passato un anno esatto dal suo coming out al Grande Fratello Vip. Qual è la sensazione prevalente se ripensa a quei momenti?
(passa qualche secondo di silenzio) Straniamento, confusione. Il giorno dopo insicurezza e panico, ero terrorizzato all’idea di uscire di casa e affrontare gli sguardi della gente. Una mia amica mi ha preso di forza e trascinato a fare colazione: quando al bar ho visto che le persone mi salutavano come se nulla fosse successo, ho capito di aver fatto la scelta giusta.

Tornando indietro, lo farebbe prima?
Sì. Ma tornare indietro non si può.

Un anno dopo essersi tolto tutte le maschere, anche quelle più ingombranti, per Gabriel Garko è tempo di tirare una riga. Non per fare bilanci che rischiano di non quadrare, ma per guardarsi allo specchio, finalmente riconoscersi e poter dire agli altri: questo sono io. Il personaggio che ha rischiato di cannibalizzare la persona – Dario Gabriel Oliviero, nato a Torino nel 1972 – è svanito un attimo prima che fosse troppo tardi. Sciolto, come neve al sole. «Ho ripreso in mano la mia vita ed è una fortuna che non tutti hanno», racconta a FQ Magazine dopo lunghi mesi di silenzio.

Cosa sognava di diventare da bambino Dario?
Pilota di aerei militari. Ma l’ambizione di diventare attore l’ho coltivata molto presto, pur vivendo un paradosso estremo visto che ero timidissimo.

Quando ha capito di voler fare l’attore?
Papà mi portava spessissimo al cinema e il tempo in quelle due ore si cristallizzava, il mondo era tutto dentro quella sala. Quando ho capito che la finzione cinematografica era una magia che regala evasione ed emozioni al pubblico, mi sono detto: «Un giorno sarò su quello schermo».

Vivevate a Settimo Torinese, hinterland industriale di Torino. La sua infanzia?
Poco asfalto e tanta spensieratezza. Ho respirato libertà. Stavamo in una sorta di villaggio con trentuno villette: eravamo tutti amici, giocavamo in mezzo ai prati. A nove anni rubavo la macchina dei miei e andavo in giro per campi.

La provincia per lei è stato un limite da superare?
Lo può essere anche la città se non hai sogni da realizzare e voglia di mordere la vita. Io ci stavo così bene che sono tornato a viverci.

Il paradosso: fugge dal gossip e vive da vent’anni a Zagarolo. Nei paesi la gente sa tutto di tutti.
Ma io sono uno del paese, non sono un personaggio. Mi sento protetto, stacco da tutto. Vivere in provincia mi dà una sensazione di evasione che pochi comprendono.

Però può capitare che Valerio Staffelli di Striscia venga a stanarla per consegnarle un Tapiro d’oro, come accadde anni fa.
E sa perché mi arrabbiai in quell’occasione? Perché pochi giorni dopo sarei stato a Cologno Monzese per registrare una cosa e avrebbero potuto darmelo lì. Pensi che poco distante da me vive un noto paparazzo e da anni abbiamo fatto un patto: quando ci incontriamo a Roma fai il tuo lavoro, a Zagarolo invece ci prendiamo una caffè assieme (ride)

Cos’è il successo per lei?
Una sbronza epica che ti dà alla testa. Io ho sempre vissuto con il freno a mano tirato e non me lo sono goduto fino in fondo ma intorno a me ho visto molti pensare di essere sul tetto del mondo e schiantarsi senza paracadute.

Il suo paracadute qual è stato?
Anche all’apice della popolarità, staccare da tutto: ho sempre frequentato gente con i piedi ben piantati per terra, che mi riportavano alla vita vera. E poi l’atteggiamento della mia famiglia è stato fondamentale, i miei genitori non mi hanno trattato come il figlio famoso. Quando dissi a mia mamma che avrei fatto Sanremo con Carlo Conti, mi rispose: “Ah, bello. Senti oggi devo portare il cane dal veterinario”.

In cosa somiglia caratterialmente a sua mamma?
Non le somiglio molto a dire il vero. Lei è una donna tosta, orgogliosa oltre ogni limite. Ora so come prenderla.

E da suo papà cos’ha ereditato?
La sacralità del lavoro. Da piccolo non andavo d’accordo con lui, col tempo abbiamo modificato e costruito un rapporto. Vedevo in lui degli atteggiamenti che non avrei voluto assumere. Il giorno in cui sono partito per Roma per fare l’attore mi disse: “È giusto avere dei sogni ma non capisco perché dovresti farcela proprio tu”. Quella frase mi ha spronato a fare il doppio.

Lo scorso aprile suo papà è mancato dopo una lunga malattia. Era orgoglioso di lei?
(silenzio) Davanti a me non lo ha mai dimostrato ma so che era orgoglioso di ciò che ho costruito. Devo ancora affrontarla in modo sano la sua morte. Non è facile. Così come non è stato facile stargli vicino: gli ultimi due ricoveri sono avvenuti in pieno Covid e non poterlo salutare come avremmo voluto è un peso sul cuore.

Lei ha detto: «Mia mamma e mio papà sono stati due genitori meravigliosi perché non mi hanno mai giudicato per alcun tipo di scelta che ho fatto». Si è sentito giudicato dopo il coming out?
No, anzi. Forse è cambiata la percezione che il pubblico aveva nei miei confronti. Ho ricevuto centinaia di messaggi di stima e di ammirazione, anche da tanti uomini. Prima ero percepito come un personaggio distante, inavvicinabile, oggi mi dicono “ti stimo per il coraggio che hai avuto”. Ma sogno il momento in cui non sarà più necessario fare coming out, etichettare le persone, guardare il mondo con la lente della normalità. Normale è una parola che detesto.

Il coming out non avrebbe potuto farlo in un altro modo invece che con un’ospitata al Gf Vip?
Se due mesi prima mi avessero detto che lo avrei fatto al Gf Vip avrei risposto: “Siete pazzi”. Non volevo farlo, poi è scattato il click e ho pensato: i giochi sono finiti. Si continuavano a dire cose false su di me e io non volevo essere trascinato in situazioni che per anni mi hanno portato solo sofferenza.

Da un punto di vista lavorativo, cos’è cambiato?
Dopo quattro anni di stop ho deciso di tornare a recitare. Sono scaramantico, ci sono dei contatti in atto e altri lavori rallentati dal Covid. Mi hanno proposto tanti ruoli, molti dei quali li ho rifiutati, ma mai quello del gay. Che comunque farei senza problemi. Ora aspetto il personaggio giusto, voglio fare qualcosa di inedito, che spiazzi e stupisca il pubblico.

Cos’ha fatto in questi quattro anni sabbatici?
Ho ripreso in mano la mia vita. Sono stato bene, ho coltivato le mie passioni, ho studiato psicologia quasi come se seguissi un percorso universitario. Mi sono tolto tanti sfizi e adesso mi manca visceralmente il set.

Le manca stare lontano dai riflettori?
Il mio psicologo dice che ho grande fortuna: «Ti sei sempre salvato grazie l’autoanalisi». Mi guardo da fuori e so quando fermarmi. Dopo Sanremo mi sono detto: devo applicare la teoria della Nutella.

Sarebbe?
Se la mangi tutti i giorni più volte al giorno, finisce che ti nausea. Se la mangi una volta al mese ti piacerà tutta la vita. Finito il Festival avevo la percezione che la troppa popolarità accumulata avrebbe finito per soffocarmi e mi sono fermato anche se tutti mi davano del matto. Ma se cadi da troppo in alto, il tonfo ti rovina per sempre.

Quando ha capito di avercela fatta?
Una mattina all’edicola davanti al Parlamento andai a comprare il giornale e l’edicolante mi chiese il mio primo autografo. Pensai: “E adesso che succede?”. Non ti danno il libretto delle istruzioni quando diventi famoso, nessuno ti dice cosa fare. E io ho fatto tanti errori, ho sparato stronzate, ho barcollato. Mi ha salvato la gavetta lunga.

Se l’è goduto il successo?
Ho lavorato talmente tanto che mi sono goduto poche cose nella vita.

Ha sofferto di solitudine?
L’ho sfiorata.

I suoi amici veri?
Pochi. Alcuni del tempo della scuola, altri del militare e poi quelli coltivati negli anni. Molti li ho persi quando ho capito che erano solo un peso eccessivo. Lo sciame che ti gira intorno quando sei famoso e fa finta di adorarti non è un cliché: al primo problema, spariscono tutti.

Lei lo capisce chi le ronza attorno solo perché è famoso?
Il mio radar non sbaglia mai: ho avuto gli occhi addosso da sempre, già da ragazzino, non saprei come si vive in un altro modo. Oggi capisco subito chi è interessato a me e chi al personaggio.

Di lei si è parlato molto in questo anno e sono venute fuori tutte le sue presunte ex fidanzate.
Ed è una cosa che mi fa venire un po’ di tristezza. Però sono abbastanza egocentrico da pensare che se ancora oggi c’è qualcuno che usa il mio nome, allora ho seminato bene.

Si è parlato di lei anche per l’arresto di Ana Betz e i presunti soldi che le avrebbe dato per uno spot.
Ho letto di tutto sui giornali ma io non sono indagato e non ho nulla da chiarire. Quella storia mi ha solo messo nei casini.

Voltando pagina: a chi deve dire grazie per ciò che ha realizzato?
Ai miei genitori, alla mia famiglia e alle tante che mi hanno dato fiducia. Ma anche a me stesso perché mi sono fatto un gran culo e ho fatto tanti sacrifici che la gente nemmeno immagina.

Apriamo il cassetto dei ricordi. Se le dico Ferzan Özpetek?
Ha visto qualcosa in me che gli altri non hanno visto. In pochi mi hanno creduto come attore, lui sì. Mi piace il suo coraggio e ci lavorerei ancora domani mattina.

Franco Zeffirelli.
In Callas Forever dovevo girare una scena intima con Fanny Ardan, ma non riuscivamo ad entrare nel mood giusto. Lui ci prende, ci porta in un’altra stanza e inizia un discorso contortissimo di cui non capivamo il senso: uscimmo da lì, magicamente entrammo nell’atmosfera e fu buona la prima. Ricordo le sue urla sul set e il suo senso estetico inarrivabile.

Virna Lisi.
Era particolare, elegante, eterea: quando rideva, si accadeva tutto attorno a lei.

Giancarlo Giannini.
Maestro vero. Sul set con lui mi sentivo come a scuola di recitazione.

Tinto Brass.
Girava con quattro macchine nello stesso momento geniale e folle. Anche nelle scene più forti è così bravo che ti rendevi conto solo al cinema di cosa era riuscito a farti fare.

In Senso ’45 c’è la sua famosa scena di nudo frontale.
Avevo un nudo integrale frontale da contratto. Non ho mai corso così veloce come quando lui dette il ciack. Poi però ha montato la scena al rallentatore e dunque si vede tutto. Dissi a mia mamma: “Non andare al cinema”. Lei ci andò e non mi parlò per tre mesi.

Teodosio Losito.
Preferisco non aprire questo fronte perché c’è un’indagine in corso e perché tutto ciò che direi verrebbe travisato.

Mi dica almeno che ricordo ha degli anni d’oro da star delle fiction Mediaset.
Un momento fortissimo della mia carriera, un piccolo tassello nella storia della tv commerciale. Abbiamo fatto fiction forti, che oggi per perbenismo e politicamente corretto non ci farebbero più fare. Poi a un certo punto mi sganciai da tutto e dissi no all’Onore e il rispetto 6. Non mi interessava fare quelle robe infinite alla Beautiful.

La sua grande occasione l’ha avuta o deve ancora arrivare?
Deve arrivare. Voglio stupire il pubblico, voglio fare cose completamente inaspettate. Basta scene di sesso, docce e nudo.

È diventato pudico?
No, ma ho dato. Mi dicevano: «Fa sognare il pubblico». Ho fatto sognare abbastanza (ride).

La perfezione fisica è stata un’ossessione?
Sono stato maniacale, ora meno. Ma coltivo la mia fortuna genetica che per ora mi ha evitato il crollo post 40 anni che in tanti mi avevano pronosticato. Se mi vedo fuori forma mi rialleno un po’ e tutto torna a posto.

Invecchiare la spaventa?
Mi spaventa la malattia. Oggi si può invecchiare bene e io mi curo, faccio le vitamine. Ma non mi sono mai ritoccato, contrariamente a ciò che dicevano di me in tv commentatori e commentatrici dall’alto delle loro labbra a canotto.

Dopo l’intervista da Giletti le dissero di tutto. Ci rimase male?
Ci sono andati giù pesanti, scrissero che mi ero rifatto tutto senza sapere che in quel periodo ero gonfio a causa di problemi alla tiroide. E da Giletti era niente rispetto al set di Valentino, che giravo in quel periodo: una mattina, prima delle riprese, mi ritrovai con il viso stravolto. Sono stato colpito e affondato nel punto più fragile, tanto che ebbi una crisi profondissima e il mio fidanzato dell’epoca mi costrinse a spegnere il telefono e ad allontanarmi da tutto per qualche giorno. Mi prese e mi portò in barca. Quando tornammo entrai in farmacia e mi ritrovai circondato di persone che mi toccavano il viso: “Ma allora non è vero che ti sei rifatto”.

Risponda con sincerità: via Instagram quanti ci provano con lei?
Diciamo che è caduta ogni barriera. Ma l’approccio facile non mi è mai interessato: sono molto più cerebrale di quanto le persone immaginino.

Quante volte è stato innamorato?
La prima volta da giovanissimo e la storia è durata quattro anni. La seconda con Riccardo, con cui sono stato 12 anni. La terza spero sia questa che sto vivendo.

Il suo grande sogno?
Sono una persona estremamente realista ma sto tanto con la testa per aria. Vorrei un figlio. Ci sto pensando seriamente.

Gabriel Garko in esclusiva a FQMagazine: “Vorrei un figlio. Non mi spaventa invecchiare ma la malattia. Mi curo ma niente ritocchi, come insinuano alcuni con le loro labbra a canotto”
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