È un consiglio di amministrazione molto risicato, quello che ha dato il via alla presentazione di una sua lista di candidati alla propria successione alla guida delle Assicurazioni Generali. Una situazione paradossale, anche senza contare che almeno due dei 9 consiglieri su 13 che hanno approvato la scelta, lunedì 27 settembre in una riunione durata quasi 5 ore, saranno molto probabilmente i primi della lista. Quindi se non si tenesse conto dei due interessati, il presidente Gabriele Galateri di Genola e l’amministratore delegato Philippe Donnet, la decisione varrebbe il voto di poco più della metà dell’intero board.
Tutto più che lecito, i conti tornano perché un conto è la filosofia delle pubblic company, le società ad azionariato diffuso che sono saldamente nelle mani dei manager senza commistioni e intrusioni tra vertici e azionisti. Un conto sono le regole che si ispirano a questa filosofia e che prevedono semplicemente che la decisione del cda di presentare una sua lista sia nelle mani della maggioranza dei consiglieri. E poco conta che parliamo del più importante polo finanziario italiano, che è anche il più importante creditore del Paese.
Ancor meno conta che l’azionariato negli ultimi mesi sia diventato sempre meno diffuso e sempre più concentrato nelle mani di due poli azionari, uno riconducibile a Mediobanca e uno al tandem Del Vecchio-Caltagirone, con l’effetto che in assenza di accordi tra le parti, al momento non ravvisabili, qualunque sarà il cda che alla fine verrà nominato, sarà sempre esposto al rischio di veto della parte avversa. E a farne le spese saranno le stesse Generali e tutti i suoi portatori d’interesse. Dal più grande al più piccolo.
La procedura per la presentazione della lista del cda di Generali approvata a maggioranza dal consiglio è “ovviamente suscettibile di eventuali adeguamenti che fossero richiesti dalle Autorità di Vigilanza”, ha spiegato una nota della compagnia triestina in tarda serata. Precisando poi che “nel corso della riunione, il cda ha preso atto delle conclusioni della riunione del 14 settembre 2021 dei consiglieri non esecutivi, comunicate al mercato all’esito di detta riunione”.
La procedura approvata è quella seguita nel passato anche da Tim e Unicredit, anche se in quei casi la decisione era stata presa all’unanimità dai board. Prevede che a dirigere il processo sia il presidente Galateri che “coordina e dirige il processo di consultazione, attraverso incontri one-to-one, di azionisti rilevanti e di formazione della lista”. Oltre al cda, che segue lo svolgimento del lavoro, il gruppo si potrà affidare a un consulente di head hunting, “che supporta il cda” sia nell’autovalutazione che nella ricerca dei candidati.
Hanno detto no Francesco Gaetano Caltagirone, Romolo Bardin, che rappresenta la Delfin di Del Vecchio, Sabrina Pucci e Paolo Di Benedetto mentre gli altri, a partire da Galateri fino ai due consiglieri di Assogestioni in rappresentanza dei fondi d’investimento, hanno votato sì al documento che traccia il percorso per arrivare nei prossimi mesi a individuare i nomi da mettere nella lista. La selezione dei candidati passa da una long list e poi da una short list, entrambe votate in cda. La procedura prevede che “i componenti del cda che siano azionisti o riconducibili ad azionisti valuteranno la doverosità e/o l’opportunità di astenersi ove non abbiano formalmente dichiarato che non presenteranno, ne concorreranno a presentare una lista di candidati concorrente alla lista del Consiglio”.
Tenendo fede a quanto indicato di recente dai consiglieri cui si riferisce la nota della Compagnia, si va in prima battuta verso una riconferma di Donnet, sostenuto da Mediobanca, salita con un blitz al 17,2% di Trieste tramite un prestito titoli, e avversato dal costruttore-editore romano e da Del Vecchio.