L’affaire Morisi sembrerebbe potersi declinare sotto la fattispecie della caduta personale, o – come egli stesso pare l’abbia definita – come una vicenda di “fragilità esistenziali irrisolte”. Matteo Salvini prima ha accolto le dimissioni di Luca Morisi da capo della sua comunicazione, essendo certamente già al corrente che da lì a poco sarebbe esploso il caso, poi l’ha anche lui rubricata come una dolorosa vicenda personale, alla quale non si può che rispondere come un vero amico fa, ovvero tendendo la mano per consentirgli di rialzarsi, come ha detto.

Del resto, una certa opinione pubblica ‘garantista’ che stigmatizza ogni giudizio morale su una vicenda come quella di Morisi, esprime opinioni non dissimili, riducendo la cosa a questione che riguarda Morisi e i suoi demoni. Così facendo, tuttavia, la critica all’eventuale giudizio morale si trasforma a sua volta in opinione moralisteggiante di segno uguale e contrario: se il giudizio morale esecra il comportamento di Morisi, l’opinione moralisteggiante rovescia quel giudizio, per lasciarlo comunque in una dimensione personale, morale, non politica.

Naturalmente, dare quella chiave di lettura elide la questione politica e aiuta – ancora una volta, e paradossalmente – la “Bestia”, benché decapitata, a uscirne nel migliore dei modi: “nessuno mi può giudicare”, “in fondo chi siamo noi per esprimere una valutazione?”, “ci vuole rispetto per il dolore altrui”. Tutto vero, tutto condivisibile. Se non fosse che dietro l’uomo, in questa vicenda c’è la politica. Ed è questo il contesto nel quale occorre inserire il caso Morisi, se non si vuole consentire a Salvini di accantonarlo facilmente invocando i “problemi personali”.

Perché il caso Morisi è politico? Perché se si fosse trattato di un uomo pubblico trovato in possesso di droga (o addirittura, ma ovviamente qui occorre aspettare il lavoro degli investigatori e della magistratura, a spacciare), allora nulla quaestio: in quel caso, davvero si sarebbe detto “sono fatti suoi”. Sì, fatti suoi ma fino a un certo punto: l’uomo pubblico è in una casa di vetro, aperta agli sguardi. Il ‘pubblico’ ha tutto il diritto di conoscere la condotta dei rappresentanti politici e del loro entourage. Ma in ogni caso qui siamo oltre: siamo di fronte al capo della comunicazione social di un politico che si era recato, in diretta social per l’appunto, a citofonare casa per casa a presunti spacciatori, ragazzini, figli di immigrati.

Allora sostenere che la questione è privata significa fare un favore a Matteo Salvini, aiutarlo a mettere sotto il tappeto la gigantesca ipocrisia di chi – se fosse tutto confermato, ma per adesso di certo è confermato l’uso degli stupefacenti, dal momento che Morisi ha già ammesso e chiesto scusa – predica bene e razzola male. Lo aiuta a eludere la questione dell’arroganza del potere, che mentre bastona in pubblico gli inermi pensa di avere un lasciapassare privato.

Una vicenda di droga che aveva coinvolto un uomo politico era peraltro già accaduta in anni recenti. Si tratta dell’ex presidente del Consiglio e senatore a vita Emilio Colombo, il quale fu implicato in una storia di cocaina da cui uscì sostenendo che era per uso ‘terapeutico’. Colombo rilasciò poi un’intervista in cui sostenne che “Nella vita, ogni persona tenta di inviare dei messaggi positivi. Tra quelli negativi, da parte mia, c’è questo episodio. Per il quale oggi, in piena onestà, mi sento di dover chiedere scusa al Paese. Sì, di chiedere scusa”.

Il caso Morisi-Salvini (li menziono assieme non perché Salvini c’entri qualcosa con la vicenda della droga, ma con riferimento proprio alla loro politica e alla loro comunicazione) è rovesciato: hanno tentato di inviare messaggi negativi, e ci sono riusciti; messaggi d’odio, messaggi aggressivi, appena celati dietro un velo di maquillage tra il goliardico e il finto-petaloso (le pantagrueliche abbuffate e i gattini). Sarebbe il caso che dopo questa vicenda chiedessero scusa. Che prendessero coscienza che il diritto di sbagliare non è un privilegio dei potenti, che Cucchi può sbagliare come Morisi, e che questa consapevolezza è un fatto politico. Non basta che la chieda Morisi, né che l’uno e l’altro la chiedano sul piano personale. Se Colombo chiedeva scusa per la droga, Morisi e Salvini dovrebbero farlo per la politica.

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