L'analisi non specifica se, e in quanti casi, il posto sia stato trovato grazie all'azione svolta da navigator e centri per l'impiego. Perché quell'informazione non è disponibile nei dati raccolti dalle Regioni, da cui i Centri dipendono, né - di conseguenza - è nota all'Agenzia nazionale per le politiche attive (Anpal) commissariata dal ministro del Lavoro Andrea Orlando. "Nel nostro Paese esistono eterogenei assetti organizzativi, con approcci, metodologie e sistemi informativi diversificati e sovente non dialoganti tra di loro”, chiosa la magistratura contabile
Sono 352mila i percettori di reddito di cittadinanza che hanno trovato un’occupazione, per lo più a termine, a fronte di 1,3 milioni di beneficiari tenuti a sottoscrivere il Patto per il lavoro con un centro per l’impiego. Tra di loro, 193mila conservano tuttora il posto. I dati emergono dall’indagine della Corte dei Conti sul “Funzionamento dei centri per l’impiego nell’ottica dello sviluppo del mercato del lavoro” e sono aggiornati ad ottobre 2020. La Corte non specifica tuttavia se, e in quanti casi, il contratto sia stato firmato grazie all’azione svolta da navigator e Cpi. Perché quell’informazione non è disponibile nei dati raccolti dalle Regioni, da cui i Centri dipendono, né – di conseguenza – è nota all‘Agenzia nazionale per le politiche attive (Anpal) commissariata quattro mesi fa dal ministro del Lavoro Andrea Orlando che ha avocato a sé il coordinamento della materia in attesa della sospirata riforma. “Nel nostro Paese esistono eterogenei assetti organizzativi, con approcci, metodologie e sistemi informativi diversificati e sovente non dialoganti tra di loro”, chiosa non a caso la magistratura contabile auspicando “una definizione chiara di misure, interventi e regole che, pur consentendo il dovuto margine di flessibilità richiesto dalle specificità territoriali, analizzate nella relazione secondo i diversi profili di utenza, sia coordinata dal livello centrale, al fine di assicurare sia una maggiore rispondenza dell’operatività dei Centri per l’impiego alle esigenze regionali, che fornire servizi omogenei su tutto il territorio nazionale”.
Finora, spiega la Corte analizzando l’operato di Anpal prima del commissariamento, “le procedure di raccolta e analisi dei dati registrati a livello territoriale gestiti su data base locali hanno, inoltre, rilevato una inadeguata azione di Anpal nell’attività di monitoraggio ad essa intestata, i cui rapporti annuali risalgono al 2017. Nonostante l’Agenzia abbia, infatti, avviato un processo di trasformazione digitale per l’evoluzione dei sistemi informativi così da consentire, tra l’altro, l’interscambio di flussi documentali e l’integrazione tra i diversi sistemi in uso, anche in vista dello sviluppo della Piattaforma digitale per la gestione dei beneficiari di Reddito di Cittadinanza, la messa a punto del Sistema unico avviene con notevoli difficoltà anche per una non adeguata dotazione informatica a livello territoriale e un collegamento in rete non adatto alle nuove funzioni dei Centri“.
Tornando ai beneficiari del reddito, i dati fermi allo scorso autunno ripresi dalla Corte mostrano che all’epoca i beneficiari tenuti al patto per il lavoro erano 1,3 milioni e 309mila avevano sottoscritto un Patto per il lavoro (ossia l’immediata disponibilità al lavoro, l’adesione ad un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo). Quelli che hanno firmato un contratto sono 352mila – più dei sottoscrittori del patto – e non è dato sapere quanti tra loro siano stati aiutati dai centri per l’impiego. Nel 65% dei casi hanno avuto contratti a tempo determinato (per lo più con una durata al di sotto dei 6 mesi), nel 15% un contratto a tempo indeterminato e nel 4% un contratto di apprendistato.
I percettori hanno ottenuto soprattutto professioni non qualificate nel commercio e nei servizi, seguite da professioni qualificate nelle attività ricettive e della ristorazione. Solo in minima parte hanno trovato posti nel settore metalmeccanico-artigiano. Non bisogna dimenticare del resto che una larga fetta dei percettori del sussidio è composta di persone di difficile impiegabilità poiché con basso livello di scolarizzazione e un periodo di lontananza dal mercato del lavoro che supera spesso i 2 anni.
Come scrive la Corte dei Conti “i principali erogatori di servizi delle politiche attive per il lavoro sono i Centri per l’impiego”. Nel 2020 si contavano 624 centri regionali e le regioni che ne ospitano di più sono Puglia (89), Lombardia (83) e Sicilia (68). I navigator, che si occupano di aiutare i precettori di Rdc nella ricerca di un’occupazione, sono 2.980, la sola Campania ne conta 471. Il 67% delle persone che si sono rivolte ad un Cpi hanno dato un giudizio positivo sull’aiuto ricevuto per trovare un lavoro. Le regioni che contano più iscritti ai Centri per l’impiego, non solo percettori di Rdc, sono il Piemonte (572mila), la Calabria (539mila) e la Sicilia (305mila). Per il potenziamento di queste strutture sono stati stanziati 551 milioni di euro nel 2019, 1 miliardo nel 2020 e 765 milioni nel 2021.
La principale criticità messa in luce dalla Corte è lo scarso livello di coordinamento nell’azione e nelle dotazioni dei centri delle diverse regioni. Oltre a segnalare un’inadeguatezza delle dotazioni informatiche dei Centri, soprattutto nel Mezzogiorno.”I Sistemi attualmente in uso dovrebbero essere “integrati e interoperabili per garantire i Livelli essenziali di prestazione con una logica di case management” proseguono i magistrati contabili spiegando che “rispetto alla specificità di ciascun utente, occorre che, con il coordinamento del Ministero del lavoro vengano predisposti percorsi individuali di orientamento alle politiche attive previste nel sistema regionale; effettuando un monitoraggio costante del mercato del lavoro, attraverso una più incisiva campagna di informazione e di comunicazione e garantendo servizi specializzati anche a favore delle categorie a rischio. Secondo la Sezione del controllo, poi, particolare attenzione dovrà essere rivolta ai giovani in transizione scuola-lavoro, ai lavoratori in mobilità o in esubero nonché ai lavoratori con caratteristiche soggettive di svantaggio sociale2.