di Francesca Conti
Nonostante gli incerti pronostici della vigilia, i berlinesi hanno votato a favore dell’esproprio di 200mila alloggi di grandi società immobiliari. Il referendum, che inizialmente aveva raccolto il numero minimo di firme per essere ammesso, non sembrava allarmare molto questi giganti del mattone. Più preoccupati invece erano i due principali partiti tedeschi: la Cdu, profondamente contraria a qualsiasi ipotesi di esproprio, e la Spd piuttosto in imbarazzo al riguardo. Ora sarà il Senato di Berlino a prendere una decisione perché il voto espresso dai berlinesi con una maggioranza del 56,4% rappresenta una volontà politica che, per quanto forte, non è vincolante. Ma potrà la politica tedesca ignorare un voto popolare espresso con tanta chiarezza, un segnale politico tanto potente?
Nel 2019 era già accaduto che il Consiglio comunale della città tedesca avesse approvato il blocco dell’aumento degli affitti per i successivi cinque anni, ma questo provvedimento era poi stato bocciato dalla Corte Costituzionale.
Per noi italiani il tradimento della volontà popolare non è certo una novità. È già accaduto con il referendum sulla ripubblicizzazione dell’acqua, completamente disatteso, e sta accadendo in queste ore a quello sulla cannabis legale, colpito da un vero e proprio tentativo di sabotaggio da parte di 1.400 comuni che ritardano l’invio dei certificati elettorali dei firmatari.
Ma Berlino non è l’Italia, anche se il problema che sta affrontando la capitale tedesca è comune a molte città italiane come Milano, Roma e anche Firenze. I berlinesi giustamente rivendicano di non voler diventare come Londra o Parigi, dove le case in certi quartieri non sono più abbordabili per la classe lavoratrice. Oltre tutto, bolle speculative come quella di Londra hanno portato i quartieri più cool della città a prezzi folli, con case acquistate esclusivamente dalla ricca élite mondiale, dai sauditi ai russi finanche ai nababbi italiani. Questo significa anche distruggere il tessuto sociale di una città e questo i berlinesi lo sanno. I lavoratori finiscono in periferia, costretti a lunghi spostamenti per raggiungere il lavoro, mentre gli immobili di interi quartieri sono acquistati da persone che ci vivono per pochi giorni l’anno e da grandi società immobiliari che affittano a prezzi inaccessibili anche per la classe media.
Firenze come città d’arte è toccata più dal fenomeno della turistificazione che da quello della gentrificazione, anche se gli effetti dei due fenomeni finiscono per coincidere. La nostra città ha visto negli ultimi anni una fuga dei residenti verso la periferia e verso le cittadine della cintura e la svendita del patrimonio immobiliare pubblico, e in parte privato, ai grandi fondi di investimento mondiali.
La risposta degli elettori berlinesi può essere un apripista per tante città e, proprio per questo, verrà sicuramente ostacolata sia dalle società immobiliari che dai partiti politici liberisti. Le prime risposte non si sono fatte attendere. La Deutsche Wohnen – la più grande società immobiliare che ha visto il suo nome anche nella campagna referendaria chiamata intitolata Espropiare Deutsche Wohnen (DWE – Deutsche Wohnen Enteignen) – ha risposto per prima, con l’arroganza del padrone che si crede padrone anche dei governi, spesso a ragione. Secondo loro, la città di Berlino andrebbe a pagare 36 miliardi di euro per gli espropri e farebbe meglio a investire quei soldi per costruire nuovi edifici. Dal canto loro, i promotori del referendum sostengono invece che il costo degli espropri sarebbe di 14 miliardi, una bella differenza.
La Deutsche Bank, attraverso Jochen Möbert, senior economist, aveva dichiarato al Sole24Ore prima dell’esito, di non essere preoccupata dal referendum, in quanto non vincolante: “Se anche il governo dovesse procedere con la confisca, questo non sarebbe mai forte abbastanza da far deragliare il boom economico dal quale dipende il boom dell’housing a Berlino”. Come a dire, fate pure tanto anche se la vostra volontà venisse rispettata – e non è detto – i prezzi continueranno a salire.
Il suggerimento su dove spendere soldi da parte della Deutsche Wohnen fa riferimento al forte debito pubblico della città di Berlino che ammonta a quasi 60 miliari di euro. Ed è proprio l’asfissia dei bilanci pubblici causata dal debito e dall’obbligo al pareggio di bilancio il motivo che ha costretto e continua a costringere anche i comuni italiani a disfarsi delle proprietà immobiliari, con la Cassa Depositi e Prestiti a fare da liquidatrice del patrimonio pubblico. La trappola del debito pubblico intacca anche la democrazia, come scrive Marco Bersani nell’ultimo numero di Jacobin: “Dopo vent’anni di politiche liberiste, città e Comuni sono stati trasformati da luoghi della democrazia di prossimità e da garanti dei beni comuni e dei servizi pubblici in facilitatori dell’espansione degli interessi finanziari nella società, mettendo sul mercato la ricchezza collettiva delle comunità territoriali ed espropriandole di democrazia”.
Il risultato del referendum berlinese è una risposta anche a questo, l’utilizzo di uno strumento di democrazia diretta per incidere sulle politiche cittadine. A pensarci bene lo strumento referendario, reso più snello dall’utilizzo della firma online, permetterebbe ai cittadini di incidere molto di più sulle proprie città di quanto non sia possibile allo stato attuale con la democrazia rappresentativa, visto che – grazie a sistemi elettorali maggioritari – le assemblee elettive non sono più in grado di spostare le decisioni blindate di sindaci e giunte.
La parola esproprio, che rimanda agli anni Settanta e a soluzioni ‘sovietiche’ come molte testate allarmate hanno scritto, è indubbiamente la soluzione migliore dal punto di vista ambientale, non essendo più sostenibile un ulteriore consumo di suolo. Sono le soluzioni liberiste ad aver fatto il loro tempo, se Berlino può farlo tutti possiamo.