Quando Federica ha visitato per la prima volta il suo laboratorio a Houston è rimasta senza parole. La sensazione di stupore è rimasta per un po’, tra i macchinari all’avanguardia, le conferenze e i primi esperimenti. “Adesso questa è la mia vita, e mi sento molto fortunata”. Federica Giordano ha 32 anni e viene da Palermo. Oggi è ricercatrice nel campo delle nanotecnolgie allo Houston Methodist Research Institute, negli USA. Lo stesso centro dove ha avuto la possibilità di lavorare per un anno durante il dottorato di ricerca in Medicina molecolare e traslazionale (svolto all’Università di Milano -Bicocca). “Sono rimasta affascinata dalle molteplici applicazioni nanotecnologiche e dalla possibilità di spaziare in diverse linee di ricerca. Le tecnologie avanguardiste, la possibilità di collaborare con luminari del mondo della ricerca e quella di partecipare a conferenze di grande rilievo mi hanno spinto a lasciare la mia amata terra”, ricorda Federica al fatto.it.
Il primo impatto a Houston è stato di spaesamento. “Le strade enormi, la mancanza del centro città in stile prettamente Europeo. Tutto risultava lontano e poco collegato con i mezzi pubblici”. La prima settimana a lavoro è stata un po’ come tornare al primo giorno tra i banchi di scuola, con una nuova lingua e una nuova cultura da assorbire in pochissimo tempo: “Nonostante avessi sempre studiato l’inglese, parlarlo quotidianamente in tutti i contesti non è la stessa cosa”. L’obiettivo della ricerca di Federica è quello di utilizzare nanoparticelle come veicolo per il trasporto di farmaci per il trattamento dei tumori, unendo l’efficacia della terapia target con quella delle nanoparticelle. La giornata trascorre tra esperimenti in laboratorio con le cellule, report, articoli, meeting. “Al momento, sto seguendo e gestendo un progetto piuttosto importante e altri progetti un po’ più piccoli in cui faccio da supporto o supervisione. Nel nostro lavoro ci sono tante scadenze da rispettare che, per qualche strana ragione, di solito si accavallano”, sorride. L’impatto della pandemia sulla ricerca negli Usa è stato “inaspettato, drammatico. Una mazzata che ha colpito ricercatori, studenti e accademici, con buona parte dei lavori sospesi o reindirizzati per fronteggiare il Covid-19”. Un colpo che, spiega Federica, lascerà strascichi negli anni a venire.
Federica ritiene che la formazione universitaria italiana sia ottima. Ma si abbina a uno scenario che, per dirlo con le parole di un recente report pubblicato su Nature, “è caratterizzato da incertezza sulle condizioni di lavoro, scarsa soddisfazione e una condizione di precarietà che accomuna ricercatori di tutto il mondo”. In buona parte dei casi, aggiunge la ricercatrice palermitana, gli stipendi di un dottorando o assegnista di ricerca in Italia “corrispondono al minino legale (tra 1.100-1.500 euro netti al mese) mentre in Usa gli stipendi vanno dai 1.900 ai 3.000 euro netti al mese, per le stesse posizioni”. Una cifra di tutto rispetto se paragonata agli stipendi italiani ma che, aggiunge, “non sempre è sufficiente a fronteggiare il costo della vita (tra assicurazione sanitaria e affitto), soprattutto in città come New York o San Francisco”. La retribuzione, inoltre, è bilanciata su 40 ore settimanali, “ma non tiene conto delle ore di straordinari e dei weekend spesi in laboratorio; una costante, in questo tipo di lavoro”.
Tornare a casa dopo un periodo all’estero? “Credo sia la domanda che prima o poi si pongono tutti coloro che hanno lasciato l’Italia – sorride Federica –. Sicuramente se potessi avere le stesse opportunità economiche e lavorative che ho qui negli USA tornerei in Italia. So che ci sono delle agevolazioni per chi rientra, ma le domande e le paure restano le stesse di quando ce ne siamo andati: possiamo fare carriera? Possiamo essere valorizzati, costruirci un futuro? Non bastano le agevolazioni sulle tasse – continua – ma bisogna risolvere il problema per il quale ce ne andiamo, cioè una prospettiva per il futuro a lungo termine”. Sarebbe bellissimo, insomma, “se solo ci fossero opportunità e risorse simili a quelle che abbiamo all’estero. Poter tornare, insegnare e contribuire al progresso del nostro Paese. Tutti gli amici o conoscenti andati all’estero prima di me mi dicevano ‘una volta che metti piede fuori dall’Italia non tornerai più’. Io spero ancora che si sbaglino – conclude Federica –. Perché è in Italia che vorrei creare la mia famiglia e il mio futuro”.