“A Roma Michetti è una persona competente e per ripartire bisogna farlo dalle periferie e non dai salotti di Calenda. Roma è Tor Bella Monaca, è Rebibbia, è Ostia”. Matteo Salvini, in difficoltà per la vicenda Morisi e accerchiato all’interno del partito (“Salvini sempre più isolato”, titola persino il quotidiano francese Le Monde), cerca di uscire dall’angolo. E risponde a muso duro al Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, considerato il leader della “fronda moderata” leghista, che ieri promuoveva la corsa di Carlo Calenda a sindaco di Roma al posto di Enrico Michetti. Non solo: va al contrattacco anche sullo scandalo che ha coinvolto il suo più stretto collaboratore, accusato da due ventenni rumeni di avergli ceduto del Ghb, la “droga dello stupro”, dopo un festino. “Sono disgustato dalla schifezza mediatica che condanna prima che sia un giudice a provare qualsiasi cosa. Luca è una bella persona, un amico che conosco da una vita. In un Paese civile, prima di sputtanare qualcuno si aspetta che sia la giustizia a fare il suo corso”. Perché, dice Matteo Salvini, “se poi la settimana prossima uscirà, come sono convinto, che il dottor Luca Morisi non ha commesso alcun reato, chi gli restituirà la dignità? Chi gli chiederà scusa?”.
Di più: “Stanno imbastendo un processo politico contro la Lega, è surreale. È un attacco politico a cinque giorni dal voto”. Il giorno dopo lo scandalo – il segretario del Carroccio è un fiume in piena. Accerchiato all’interno del suo stesso partito , per uscire dall’angolo abbandona i toni inediti da buon samaritano (“Nella vita si può sbagliare, l’importante è rialzarsi”), sceglie l’arma del vittimismo e va al contrattacco nei confronti di chi, dice, sbatte “il mostro in prima pagina“. “Se tutti attaccano solo la Lega, siamo gli unici che danno veramente fastidio a un sistema che vorrebbe portare indietro l’Italia”, ha detto in mattinata a Telelombardia. “Se Luca ha sbagliato nella sua vita privata sono il primo a dirgli “ma che diamine hai fatto?”, però è una vicenda privata. Io non mi sono mai permesso di commentare le vicende del figlio di Grillo o degli amici di Conte o di qualche altro politico di sinistra. Io mi fermo davanti all’uscio di casa“, rivendica. Più tardi, a Milano per la campagna elettorale, ribadisce il concetto: “Quando prendono come capri espiatori e vittime sacrificali altre persone mi dispiace. Io non faccio politica così. Spero che il figlio di Beppe Grillo venga assolto, spero che non ci siano problemi economici a casa Conte, perché non godo dei problemi degli avversari. Li voglio sconfiggere lealmente sui progetti”.
Infine, a chi gli ricorda del blitz al citofono del gennaio 2020, quando suonò in casa di una famiglia tunisina del quartiere Pilastro di Bologna accusandoli di spacciare di fronte alle telecamere, risponde di non essersi pentito: “No, perché hanno arrestato degli spacciatori. Lì c’erano degli spacciatori che sono stati arrestati. Non andiamo a caso. Diciamo che sono stato ministro dell’Interno e qualche contatto con le forze dell’ordine ce l’ho”, rivendica. A fornirgli l’indirizzo, in realtà, era stata una donna che partecipava all’evento elettorale per la candidatura di Lucia Borgonzoni alla presidenza dell’Emilia-Romagna, a propria volta imbeccata da un sottufficiale dei Carabinieri, che per questo era stato sanzionato. “Chi spaccia droga è un delinquente, chi la usa è un cretino: la differenza tra un criminale e un cretino, da codice penale, è evidente. Non vorrei che capitasse al mio peggiore avversario quello che sta accadendo a questo ragazzo”, chiosa Salvini.