Tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre l’Egitto ‘celebra’ una raffica di detenzioni ‘illegali’. Sono passati esattamente due anni dalle manifestazioni di piazza che hanno infiammato Il Cairo e altre città egiziane, le prime dopo anni di silenzio e di teste chine nei confronti del regime. Il presidente Abdel Fattah al-Sisi non perse tempo all’epoca e nel giro di pochi giorni stazioni di polizia, caserme e penitenziari si riempirono di oltre 2mila cittadini arrestati. Molti furono subito rilasciati, ma tanti finirono in cella senza neppure prendere parte ai moti di rivolta.
Tra loro anche Alaa Abdel Fattah, il leader della rivoluzione egiziana del gennaio 2011, fermato mentre si trovava nella stazione di polizia del suo quartiere, Doqqi, lo stesso dove abitava Giulio Regeni. Più volte arrestato e condannato in passato, anche sotto il regime di Hosni Mubarak, Abdel Fattah stava scontando un periodo di libertà vigilata successivo a una condanna pregressa: 12 ore in libertà, dalle 6 alle 18, le altre nella cella di sicurezza della stazione. All’alba del 29 settembre, esattamente due anni fa, il noto attivista non si presentò all’uscita: nei suoi confronti era scattata la misura per un nuovo caso con le solite accuse di terrorismo e diffusione di false notizie. Al suo avvocato, Mohamed al-Bakr, che si presentò alla stazione di Doqqi per chiedere conto di quanto accaduto toccò la stessa sorte. Anche per lui, oggi, scadono i termini di detenzione in attesa di giudizio.
La legge egiziana parla chiaro: dopo 24 mesi dall’arresto la procura dovrebbe rilasciare il singolo detenuto. Per Abdel Fattah, al-Bakr e decine di attivisti per la tutela dei diritti umani in Egitto tutto ciò non sembra contare. Ci pensa Gamal Eid, storico attivista e dirigente dell’Anhri (Arab network of human rights information) e lui stesso tartassato dai regimi del Cairo, a riassumere quanto sta accadendo: “C’è una quantità eccezionale di persone in detenzione illegale. Molti, nei giorni scorsi, sono stati avvicinati da funzionari dell’Agenzia nazionale per la sicurezza (Nsa) chiedendo le loro intenzioni e promettendo il rilascio, ma al prezzo di non avere alcun contatto con le ong che si occupano di diritti umani, compresa quella che dirigo”.
Eid di recente ha lanciato una campagna per denunciare questi episodi. La settimana scorsa la stessa denuncia è stata avanzata da alcuni avvocati i cui clienti hanno ricevuto l’identica ‘proposta’: ti tiro fuori dal carcere, ma al primo segnale di ostilità ti richiudo in cella e butto via la chiave. A tirare fuori la notizia è stato il sito giornalistico Mada Masr, oscurato dal regime ma in grado di operare bypassando la censura grazie a canali internazionali.
Il mese di ottobre si annuncia molto delicato. Al-Sisi, come spesso accade, tra il 6 e il 18 ottobre, in occasione di due anniversari importanti (in particolare quello della guerra del Kippur contro Israele del 1973), è solito concedere la grazia a molti detenuti. Un modo per dimostrarsi magnanimo e al tempo stesso per decongestionare le carceri del Paese, iperaffollate. A tal proposito, nei giorni scorsi lo stesso presidente ha annunciato l’imminente costruzione di un nuovo ed enorme penitenziario sullo stile di quelli realizzati negli Stati Uniti. Strategia comunicativa di un leader supportato dalle potenze internazionali e a cui tutto viene concesso.
Nel settembre 2019, la notte tra il 19 e il 20, per la prima volta dai tumulti della rivoluzione di Piazza Tahrir il popolo scendeva in strada per protestare contro la corruzione del governo e delle istituzioni. Una reazione fomentata dall’attore e imprenditore Mohamed Ali, ex collaboratore di al-Sisi con cui poi è entrato in contrasto, fuggito e da anni riparato a Barcellona. Nessuna delle principali organizzazioni egiziane – oltre ad Anhri anche quella dove per anni ha lavorato Patrick Zaki, l’Eipr, l’Ecrf che da anni segue il caso Regeni e tante altre – appoggiò quella rivolta e tanto meno ha mai considerato Mohamed Ali una persona limpida. Eppure la scure del regime si è abbattuta soprattutto su quelle organizzazioni che hanno a cuore il rispetto dei diritti umani e civili. I vertici dell’Eipr sono stati arrestati nel novembre del 2020, i beni e i conti bancari congelati e una volta rilasciati sono ridotti ai margini dell’organizzazione. Lo stesso leader attuale, tra i fondatori della ong, Hossam Bahgat, il 2 novembre finirà alla sbarra per un procedimento legato alle sue presunte offese nei confronti della gestione delle elezioni del Parlamento, sempre nel 2020.
Impossibile ricordare tutti i soggetti in carcere da due anni e che invece di essere rilasciati stanno marcendo in cella. Da Haitham Mohammedin al blogger Mohamed Oxigen e poi noti politici come Abdel Moneim Abul Fotouh e Ziam el-Aini. Il caso limite è quello dell’avvocato della famiglia Regeni, Ibrahim Metwaly Hegazy, in cella da quasi quattro anni e vittima di ben tre nuovi casi giudiziari che stanno posticipando il suo giudizio o il suo rilascio nel tempo.
È giusto tornare infine ad Alaa Abdel Fattah. Il 12 settembre scorso, durante l’ennesima udienza-farsa per il rinnovo della sua detenzione, Abdel Fattah si è lasciato andare a uno sfogo preoccupante: “Non riesco più a sopportare questo stato di cose, sto seriamente pensando al suicidio”. La sua famiglia è preoccupata: “La vita di Alaa è in pericolo – hanno scritto in una dichiarazione pubblica la madre Laila e la sorella Mona, l’altra sorella Sana è in cella nel carcere femminile di Qanater da più di un anno – Subisce continue violazioni e nel corso dell’ultima udienza ha reagito in quel modo. Alaa è prigioniero nel carcere di alta sicurezza di Tora 2, in attesa del processo da quasi 2 anni (adesso superati, ndr), il periodo massimo di detenzione preventiva secondo la legge egiziana”. La situazione sta diventando paradossale nella sua drammaticità. Da giorni la madre di Alaa Abdel Fattah staziona davanti l’ingresso del carcere di Tora. Chiede di poter incontrare il figlio o almeno di fargli recapitare lettere e beni di prima necessità e di ricevere in cambio le sue lettere. Dopo lo sfogo di Abdel Fattah in procura, le autorità carcerarie hanno tagliato le comunicazioni. L’ennesimo abuso di potere.