di Renato Turturro*
La Corte Costituzionale si è pronunciata più volte sulla materia dei trattamenti sanitari, delineando i presupposti affinché l’obbligo vaccinale possa ritenersi compatibile con i principi l’art 32 della Costituzione:
1. qualora il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri (sentenza 1990, n. 307);
2. qualora la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze temporanee e di scarsa entità.
Dove e come collocare il limite tra interesse della collettività e rispetto dell’individuo? Come estendere queste domande al tema del lavoro? Il garante di questo equilibrio dovrebbe essere lo Stato, il quale attraverso i suoi poteri e i suoi organismi dovrebbe esprimersi a riguardo. Ma la realtà ci racconta che, escludendo l’obbligo introdotto per gli operatori sanitari attraverso il dl 44/2021, la questione nei luoghi di lavoro viene trattata indirettamente attraverso il green pass in maniera strumentale da parte dei datori di lavoro e di molti partiti politici, creando confusione tra dispositivi e misure preventive.
In questa fase di probabile terza dose estesa, il mondo del lavoro – se lasciato alla sola contrattazione tra le parti e all’interpretazione di parte delle norme del diritto del lavoro esistenti – rischia di subire ulteriori passi verso l’impoverimento e l’ingiustizia ai danni della forza lavoro. Le tensioni e le resistenze nei confronti della campagna di vaccinazione, della sperimentazione, della mancata chiarezza talvolta, hanno delle ragioni nella sfiducia diffusa nei confronti del rapporto scienza e potere. Perché l’atteggiamento di diffidenza verso gli atri vaccini non è così diffusa?
In passato, l’atteggiamento della popolazione, in particolare quella di lavoratori e lavoratrici, era di lotta per l’accesso al sapere scientifico, alle cure e all’assistenza sanitaria pubblica. Il desiderio di piegare la scienza agli interessi dei lavoratori e della maggioranza storicamente esclusa era il motore che muoveva la fiducia di poter realmente trasformare il mondo. Forse le ragioni dell’odierna sfiducia e del sospetto si inseriscono nel crollo di strutture e organizzazioni, nella parcellizzazione e nell’atomizzazione della forza lavoro e della conseguente impotenza percepita di governare i fenomeni, sempre più complessi.
Un esempio. La Legge del 05/03/1963 n. 292 sulla vaccinazione antitetanica obbligatoria, all’art. 1 fissa tutte attività lavorative per le quali vige l’obbligo del vaccino, molti sono i settori del suo campo di applicazione quali ad esempio la manipolazione dei rifiuti, la fabbricazione della carta e dei cartoni, la lavorazione del legno, la metallurgia e metalmeccanica, le lavorazioni agricole, e altri ancora. L’obbligatorietà del vaccino antitetanico, oggi, viene vincolata al protocollo della sorveglianza sanitaria (art. 41 D.lgs 81/08) fornita in fase preassuntiva o preventiva dal medico competente o dalle Asl. Alcune risposte alle domande precedenti possono essere trovate ancora nel D.lgs 81/08. L’articolo 279, infatti, prevede la gestione di un rischio di infezione derivante da “un agente biologico presente nella lavorazione”. L’ubiquità e la pericolosità del tetano sono stati accettati socialmente senza sospetti, perché la sua conoscenza nasce in un contesto storico e sociale connotato da una forte partecipazione sociale ai temi scientifici e sanitari.
Nel caso del Covid-19, invece, l’agente è percepito come qualcosa proveniente da fuori, lontano da contesti abituali e non contemplato nel processo lavorativo. Impattante e repentino, per il quale non vi è una conoscenza consolidata rispetto al suo andamento. Le due malattie infettive si differenziano soprattutto sulla trasmissibilità, coinvolgendo di fatto la relazione salute individuo/salute collettività. Il sé e l’altro.
Il virus SARS-Cov2, escludendo l’ambiente sanitario (rischio biologico), non ha ancora una collocazione definitiva nel dibattito giurisprudenziale. Commettere l’errore di non intuire i risvolti e le strumentalizzazioni che questo comporta nel diritto alla salute e del lavoro (vedi proposta sui licenziamenti legati alla vaccinazione), trasformerà lo scenario in un aumento sostanziale dell’ “individualismo atomico”. I dati ci dicono che la consapevolezza rispetto al vaccino esiste, occorre sganciare la salute e il lavoro dal sospetto reale che il sistema del profitto genera. Ma i problemi dell’umanità non hanno risposte se non nell’umanità stessa.
*Tecnico della prevenzione ASL. Mi occupo di salute e sicurezza sul lavoro con tutta la passione che questo tema merita. Sono cresciuto tra racconti ed esperienze dirette di migrazioni, storie del movimento operaio e bracciantile. Scrivo articoli e racconti sul mondo del lavoro, perché solo la potenza della forza lavoro, spesso invisibile, può liberarlo dalle ingiustizie