Nei giorni scorsi, trentacinque insegnanti di religione della provincia di Piacenza hanno scritto una lettera anonima al loro Vescovo con pesanti accuse sulla gestione delle nomine dei docenti da parte della diocesi. Parole pesanti che richiamano un tema che va affrontato al più presto: “Il direttore dell’ufficio insegnamento religione cattolica affida le cattedre più prestigiose agli amici, una palese differenza di trattamento all’interno del corpo docenti non in base ai titoli ma all’amicizia e alla simpatia”, cita la lettera pubblicata sul quotidiano La Libertà. Una missiva firmata senza nomi e cognomi per evidenti timori di ritorsioni.

E’ chiaro che stiamo parlando di personalismi che sono possibili solo grazie allo statuto dell’idoneità. Di cosa si tratta? Forse non tutti lo sanno.

L’intesa tra il ministero dell’Istruzione e la Cei del 1985 e il Dpr 202 del 1990 stabiliscono che “L’insegnamento della religione cattolica è impartito da insegnanti in possesso di idoneità riconosciuta dall’ordinario diocesano (il Vescovo) e da esso non revocata, nominati, d’intesa con l’ordinario diocesano, dalle competenti autorità scolastiche ai sensi della normativa statale”.

Fino al primo concorso, fatto nel 2004, la totalità dei docenti di religione cattolica erano nominati dal solo Vescovo. La nuova intesa, datata 2012, stabilisce che “L’insegnamento della religione cattolica, impartito nel quadro delle finalità della scuola, deve avere dignità formativa e culturale pari a quella delle altre discipline. Detto insegnamento deve essere impartito in conformità alla dottrina della Chiesa da insegnanti riconosciuti idonei dall’autorità ecclesiastica e in possesso di qualificazione professionale adeguata”. Ma come si dimostra di essere idonei?

Il codice di diritto canonico cita: “L‘Ordinario del luogo si dia premura che coloro, i quali sono deputati come Insegnanti della Religione nelle scuole, anche non cattoliche, siano eccellenti per retta dottrina, per testimonianza di vita cristiana e per abilità pedagogica”. A questo punto è necessario capire cosa si intende per testimonianza di vita cristiana: “La testimonianza di vita cristiana (la quale deve essere pubblica e notoria) è attestabile dalla persona stessa e viene comprovata e certificata attraverso una lettera del proprio parroco e attraverso un modulo di autocertificazione fornito dall’Ufficio per l’Educazione, la Scuola e l’Università”.

Il canone 805 chiarisce, infine, che “è diritto dell’Ordinario del luogo per la propria Diocesi di nominare o di approvare gli Insegnanti di religione, e parimenti, se lo richiedano motivi di religione o di costumi, di rimuoverli oppure di esigere che siano rimossi”. Tradotto: se non vai più bene al Vescovo vai a casa. Punto.

Ora mi chiedo e chiedo ai Vescovi, alla Cei, una donna che sceglie di abortire per motivi che non sta a noi conoscere, non compie alcun reato per la Legge italiana ma può ancora entrare in classe ad insegnare? Un uomo che si trova come tanti di fronte al dramma di un matrimonio che finisce e che soffre per questa situazione, può ancora insegnare religione cattolica visto che non è degno nemmeno di ricevere la comunione? Un insegnante di religione cattolica che di fronte alla volontà di morire della sua anziana madre (malata di cancro, allettata etc) attraverso il suicidio assistito, l’accompagna in Svizzera, non è più idoneo per il Vescovo di turno?

Il risultato di questo sopruso è che molti docenti di religione cattolica sono costretti a vivere nel nascondimento la loro situazione famigliare per non perdere il posto di lavoro.

Siamo nel 2021, è ora di togliere dalle mani dei vescovi questo assurdo potere che non attesta nulla se non creare personalismi, favoritismi e una sorta di ufficio di collocamento delle diocesi. Son certo che alcuni (pochi) illuminati vescovi saranno d’accordo con la mia richiesta. Serve solo il coraggio di aprire questo dibattito e lanciare una campagna contro l’idoneità per insegnare in una scuola pubblica, la religione cattolica.

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