Il bello del Troisi è che dopo l’autorialità scatterà il blockbuster annunciato. Ottima l’alternanza autoriale al filmone. Non solo nella frizzante Trastevere, ma in tutta Italia dal 30 settembre, 007 – No time to die promette di essere l’ultimo film con Daniel Craig, quello dell’addio. Con 2 ore e 43 minuti, durata fantozziana per la verità, il nuovo lavoro diretto da Cary Fukunaga è il più cupo tra tutti i 25. Fra Matera, Londra e isole sperdute nell’oceano, Bond dovrà difendere la donna che ama (ebbene sì, si accaserà) da un villain vendicativo con l’obiettivo di creare un virus perfetto e infido. Inquietante l’inevitabile pensiero alla nostra pandemia. In compenso tanta azione in mezzo a lunghi pistolotti, la contesa dello 007 con una nuova agente e il product placement di ogni lusso possibile immaginabile.

Pastiche sempre più simili a un elegante Fast & Furious purtroppo, ma senza ironia, Craig è stato il più muscolare dei Bond, impeccabile nell’action ma il meno empatico. Notevoli le musiche firmate Hans Zimmer e la canzone di Billy Elish. La Universal lo sta lanciando con l’hastag #NoTimeToSpoiler. Non spetta a me spiegarne il motivo, ma una cosa va anticipata. Sir Sean Connery se n’è andato il 31 ottobre 2020, purtroppo appena dopo la Mostra di Venezia e la Festa del Cinema di Roma, che lo avrebbero giustamente celebrato. Sarebbe stato necessario in questo film almeno un cartello prima dei titoli di coda con una dedica, invece niente. Un po’ deludente, magari la copia vista a Roma per l’anteprima mondiale non la conteneva per fortuito caso, vorrei sperare, perché Connery, oltre a essere stato un grande attore è diventato icona insieme ai primi 007, e in tutto il franchise iniziato nel 1962, al suo valore è pari soltanto Ian Fleming.

Quindi dove andrà il cinema? Intanto speriamo continui ad andare in sala come sta andando, e sempre più seguito da moltitudini di spettatori stufi dei device. E proprio tra le nuove uscite sono da segnalare altri titoli molto validi. Tutto cinema italiano peraltro. A Chiara di Jonas Carpignano, in sala dal 7 ottobre, chiude la trilogia su Gioia Tauro, almeno per adesso, poi chissà, come ha raccontato in conferenza stampa l’autore. L’immigrato nero dei barconi di Mediterranea e l’ex-ragazzino Rom di A Ciambra (Pio Amato, che compare anche in un piccolo ruolo nella Matera del nuovo 007) fanno dei camei lasciando tutto lo spazio narrativo agli italiani, le famiglie calabresi che detengono il mercato della droga su Gioia. Chiara scopre l’attività del padre con la sua improvvisa latitanza. Tutto cambierà profondamente, lei per prima.

Con una sequenza iniziale anti-Padrino, Jonas senza volerlo capovolge Coppola con una lunga sequenza su una festa di 18 anni. I balli, la ritualità del brindisi e il boss timido nel parlare in pubblico segnano la cultura del silenzio tutta calabra, un anti-Don Vito appunto. Le ragazzine poi si contendono incoscentemente il territorio, le piazzette come sfida adolescenziale tra gruppi e sguardi di curiosa invidia. Carpignano dipinge l’omertà con un film a grana grossa, da pellicola. Dal sogno/festa si passa all’incubo ovattato. Uso azzeccato delle canzoni di Madame, la regia sempre intima di inquadrature strette, soggettive e piani sequenza, con luci che mirano all’inconscio dello spettatore. Le esordienti protagoniste sono piccole grandi forze della natura, soprattutto Swamy Rotolo, Chiara; così il lavoro, vincitore al Cannes di Titane dell’Europa Cinema Label, segna una modernissima presenza nell’antico solco neorealista del nostro cinema.

L’evento cinematografico Nexo Digital in sala dal 4 al 6 ottobre s’intitola Ezio Bosso, le cose che restano ci catapulta tra le note di vita, di piano e di corda del musicista torinese scomparso lo scorso anno. Il documentario di Giorgio Verdelli toglie il fiato. A ricordare l’artista, oltre ai fratelli colleghi musicisti come Paolo Fresu, Geoff Westley e Raffaele Mallozzi, ma anche attori e registi come Luca Bizzarri, Silvio Orlando, Enzo Decaro e Gabriele Salvatores. Allora i live sull’acqua con le dolcissime Unconditioned (following a bird), Rain into your black eyes e molte altre, più un inedito. Per Paola Turci fluttuava, per Salvatores sembrava volasse mentre suonava. Gli Statuto, il contrabbasso, il suo midollo mod, Sanremo, i Carmina Burana e le direzioni orchestrali di classica piene di energia cristallina.

Era nato per la musica il maestro Bosso. Forse guardandolo qualcuno riuscirà a non piangere di gioia o commozione per una decina di minuti sparpagliati qua e là. È un documentario terribilmente bello. Nessuno che abbia composto opere come quelle di Bosso muore mai completamente. Figuriamoci uno che ha detto cose semplici e potenti come lui. Quindi l’artista continuerà a vivere nella sua musica e nelle interpretazioni che ha lasciato della classica. E questo documentario non fa altro che raccoglierne le prove offrendole affettuosamente al pubblico.

Last but not least, in quanto al cinema dal 30 settembre, abbiamo infine I nostri fantasmi. Opera seconda di Alessandro Capitani, fatta quasi completamente d’interni, vede l’incontro di due anime in difficoltà. Una donna che fugge da una vecchia vita con la figlioletta, e un uomo che ha perso tutto tranne suo figlio e insieme occupano e infestano la loro grande casa come fossero squatters, o fantasmi. La casa li mette tutti a confronto, la vita a nuove prove, e solo un reciproco aiuto potrà elevarli verso i loro sogni di normalità. Tratteggia di chiaroscuri delicati ogni personaggio Capitani, e gli attori lo seguono in toto. Così i protagonisti Michele Riondino, Hadas Yaron e Orlando Forte, quanto Alessandro Haber, Paolo Pierobon e Federico Rosati aiutano l’autore a tessere una piccola storia che respira sincera e sottovoce in barba a tanto cinema urlato.

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Il cinema riparte: dalla controversa riscossa di Moretti e ‘Titane’ allo ‘007’ che dimentica Sean Connery

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