Strana vita, la mia: così Romano Prodi intitola la sua autobiografia. Ma nel libro – curato dal giornalista del Corriere della Sera Marco Ascione – la sua vita appare in realtà “fortunatissima” (lo riconosce lo stesso autore) perché ricca di avventure, di incarichi prestigiosi e di successi. Professore universitario (Economia e Politica Industriale) a Bologna e in America, due volte presidente dell’Iri, ministro dell’Industria e due volte Presidente del Consiglio, presidente della società editrice Il Mulino, fondatore di Nomisma, padre nobile de L’Ulivo, tuttora editorialista di diversi quotidiani. E ora, candidato di prima linea alla Presidenza della Repubblica.

Non mi sento di formulare un giudizio argomentato sull’operato di Prodi in Europa, di cui per due volte ha guidato la Commissione. Una presidenza prestigiosa, che ha contribuito in modo determinante a portare nella Comunità i Paesi dell’ex blocco sovietico. Qualcuno ha criticato questo ”allargamento” per la scarsa compatibilità dei nuovi entranti con i Paesi fondatori della Cee. Si può però replicare – e molti lo fanno – che l’alternativa sarebbe stata il ritorno di questi paesi sotto l’influenza dell’Unione Sovietica.

Conosco meglio l’esperienza di Prodi come presidente dell’Iri, dato che ho sempre lavorato nell’Istituto (di cui sono stato capo ufficio stampa) o nelle aziende del Gruppo (Stet e Rai). Fu proprio il presidente Prodi, quando ero responsabile delle Relazioni Istituzionali della Stet, che mi convocò in via Veneto per comunicarmi che l’Istituto aveva deciso di nominarmi direttore di Iris, un consorzio di aziende del Gruppo (Italsiel-Rai-Italstat-Stet) la cui missione era quella di presentare progetti a valere sui 600 miliardi di fondi pubblici stanziati dal ministro del lavoro Gianni De Michelis per i cosiddetti “giacimenti culturali”. Di De Michelis ero stato capo ufficio stampa al ministero delle Partecipazioni Statali e questo faceva ritenere all’Iri che la mia nomina avrebbe favorito il nostro Consorzio. In effetti, Iris si aggiudicò – oltre a progetti meno rilevanti – il più importante di tutti quelli presentati dalle aziende italiane: la informatizzazione del Servizio Bibliotecario Nazionale, portato felicemente a termine nel giro di pochi anni.

Penso che Ciampi abbia scelto Prodi come Presidente dell’Iri perché lo riteneva abbastanza forte ed esperto per portare avanti la politica di privatizzazioni che doveva ridurre la rilevante presenza dello Stato nell’economia, anche in vista dell’entrata in circolazione dell’euro. Su questo aspetto dell’azione di Prodi ci sono state opinioni diverse e anche critiche. In particolare, si è detto che la cessione della Stet al gruppo di Tronchetti Provera è avvenuta a condizioni troppo favorevoli (e il suo trasferimento a Milano è stato per Roma un duro colpo sul piano del business e della occupazione).

E ricordo le polemiche sulla privatizzazione della Sme, con i diversi aspiranti compratori sostenuti ognuno da una determinata forza politica. Aggiungo però che “le privatizzazioni” erano una decisione presa a livello di governo, non facile da attuare viste le dimensioni raggiunte in Italia dalle Partecipazioni Statali. E comunque Prodi brilla di luce propria se si pensa ai suoi predecessori (Petrilli e Sette) e al suo successore Franco Nobili.

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