L’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano è stato condannato in primo grado a 13 anni e 2 mesi, quasi il doppio della pena richiesta dell’accusa. Nel 2018 Lucano era stato al centro di un’inchiesta della procura di Locri che ha ipotizzato l’esistenza di un sistema criminale dentro quello che era stato ribattezzato il “paese dell’accoglienza” dei migranti. L’ex sindaco era accusato di essere il promotore di un’associazione a delinquere che aveva lo scopo di commettere “un numero indeterminato di delitti (contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica e il patrimonio), così orientando l’esercizio della funzione pubblica del ministero dell’Interno e della prefettura di Reggio Calabria, preposti alla gestione dell’accoglienza dei rifugiati nell’ambito dei progetti Sprar, Cas e Msna e per l’affidamento dei servizi da espletare nell’ambito del Comune di Riace”.
Lucano era sotto processo anche per abuso d’ufficio, truffa, falsità ideologica, turbativa d’asta, peculato e malversazione a danno dello Stato. Il pm Michele Permunian aveva chiesto 7 anni e 11 mesi di pena. Nel corso della requisitoria l’accusa aveva affermato che “numerose conversazioni dimostrano in modo netto che l’agire, anche illecito, di Lucano è determinato da interessi di natura politica”. In altri termini, aveva proseguito il pubblico ministero, “non era importante la qualità dell’accoglienza ma far lavorare i riacesi così da conseguire, quale contraccambio, un sostegno politico elettorale”.
Nel chiedere la condanna, il pm Permunian aveva aggiunto “A Riace comandava Lucano. Era lui il dominus assoluto, la vera finalità dei progetti di accoglienza a Riace era creare determinati sistemi clientelari. Lucano ha fatto tutto questo per un tornaconto politico-elettorale e lo si evince da diverse intercettazioni. Contava voti e persone. E chi non garantiva sostegno veniva allontanato”. Tesi sempre contestata dall’ex sindaco di Riace, oggi candidato a consigliere regionale a sostegno di Luigi de Magistris. Gran parte dei reati addebitati a Lucano erano stati cassati dal gip Domenico Di Croce che, nell’ottobre 2018, ha rigettato la richiesta di arresto formulata dalla Procura sottolineando “la vaghezza e la genericità del capo d’imputazione”.
Solo per il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e per alcune irregolarità nell’appalto del servizio di raccolta dei rifiuti (che nel piccolo Comune della Locride veniva effettuato con gli asinelli), nell’ottobre 2018 il gip aveva disposto i domiciliari per Lucano, poi trasformati in divieto di dimora dal Tribunale del Riesame e ancora dopo annullati dalla Cassazione. Secondo la Suprema Corte, che aveva annullato l’ordinanza di custodia cautelare, non c’erano indizi di “comportamenti” fraudolenti commessi dall’ex sindaco. Eppure, al termine del dibattimento, il Tribunale di Locri presieduto dal giudice Fulvio Accurso ha ritenuto che Lucano sia responsabile di quasi di tutti i reati per i quali è stato indagato e lo ha condannato a risarcire diverse centinaia di migliaia di euro. L’accusa che ha più scosso Lucano è stata quella della concussione ai danni di Francesco Ruga, un negoziante di Riace che prima lo ha denunciato e poi in aula si è rimangiato tutto.
“Prima dell’arresto io non sapevo nemmeno cos’era la concussione”, si era sempre difeso l’ex sindaco di Riace che, prima di finire ai domiciliari, aveva pure denunciato Ruga perché gli mandava messaggi minatori. Il commerciante era il teste chiave dell’accusa ma per il Tribunale del Riesame “avrebbe dovuto essere sentito con le garanzie previste dal codice di rito”. In altre parole, oltre a essere “inattendibile” in quanto “pare evidente l’atteggiamento di astio” nei confronti dell’ex sindaco, l’accusatore di Lucano doveva essere iscritto nel registro degli indagati. Lucano è stato assolto dalla concussione ma la testimonianza di di Ruga è stata definita “genuina”, come dalla Procura che all’improvviso, prima di interrogarlo, ha archiviato le quattro denunce sporte da Lucano e dagli altri imputati nei suoi confronti perché “è trascorso troppo tempo dalla proposizione della querela ad oggi per cui è impossibile acquisire dati”.
Mimmo Lucano era in aula oggi per la lettura del dispositivo. “Sono amareggiato. Non me l’aspettavo. – ha commentato a caldo – Non ho proprietà e non ho nulla. Non capisco questa cosa. Ho speso la mia vita per rincorrere i miei ideali, contro le mafie. Mi sono immaginato di contribuire al riscatto della mia terra. Oggi finisce tutto. È una cosa pesantissima. Non so se per i delitti di mafia ci sono sentenze così. Io mi aspettavo una formula ampia di assoluzione. Voglio ringraziare l’avvocato Mazzone che non c’è più e gli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia che mi hanno difeso gratis. Io non avevo i soldi per pagare gli avvocati. A me mancano i soldi per vivere, come farò a estinguere questa condanna?”.