A pesare sulla quantificazione può essere stata la separazione di due diversi gruppi di reati aventi lo stesso fine, mentre i pm chiedevano di tenerli tutti insieme. Inoltre, l'entità del peculato potrebbe aver portato a una condanna superiore al minimo previsto: ma l'ex primo cittadino, come riconosciuto anche dal gip, non si è messo in tasca un soldo. E l'accusa di aver combinato matrimoni è caduta. Trucco (Asgi): "In quarant'anni di carriera non ho mai visto dare il doppio della pena chiesta dal pm"
Una sentenza pesantissima, che appare addirittura abnorme se la si paragona ad altri casi. Il Tribunale di Locri ha condannato Mimmo Lucano a 13 anni e 2 mesi di carcere, raddoppiando la richiesta dei pubblici ministeri Michele Permunian e Marzia Currao (7 anni e 11 mesi). Ma di cosa è stato ritenuto responsabile l’ex sindaco di Riace? E com’è stato possibile arrivare a una pena così alta? In attesa delle motivazioni – saranno depositate tra 90 giorni – il dispositivo insieme ai capi d’imputazione può aiutare a fare qualche ipotesi. E a tracciare alcuni punti fermi. Ad esempio, Lucano non ha favorito l’immigrazione clandestina: quell’accusa, in cui si insinuava che avesse organizzato “matrimoni di comodo tra cittadini riacesi e donne straniere al fine di favorire illecitamente la permanenza di queste ultime nel territorio italiano”, è stata ritirata dai pm ancor prima di arrivare a sentenza. Le condanne invece sono per un lungo elenco di reati contro la pubblica amministrazione, la pubblica fede e il patrimonio: associazione per delinquere finalizzata a “commettere un numero indeterminato di delitti”, falso in atto pubblico e in certificato, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, abuso d’ufficio e peculato.
A questi 10 anni e 4 mesi vanno aggiunti altri 2 anni e 10 mesi per il secondo gruppo di reati, che comprende tre diverse condotte di abuso d’ufficio (reato più grave) e il falso in certificato per aver rilasciato una carta d’identità a una cittadina nigeriana che non era residente a Riace. Così si arriva ai 13 anni e 2 mesi inflitti all’ex sindaco. A pesare è stato anche un altro fattore: la riqualificazione – fatta d’ufficio dai giudici – di uno degli abusi d’ufficio in truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Inoltre, né a Lucano né a nessun altro dei 26 imputati sono state concesse le attenuanti generiche, neanche avrebbero potuto essere motivate con l’assenza di precedenti penali. “È una sentenza sconcertante che dimostra una volontà repressiva difficilmente spiegabile nei confronti del modello Riace”, dice al fattoquotidiano.it Lorenzo Trucco, difensore di tre imputati (tra cui Lemlem Tesfahun, compagna dell’ex primo cittadino) e presidente dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione. “In quarant’anni di carriera non ho mai visto infliggere il doppio della pena chiesta dall’accusa. E quel peculato da centinaia di migliaia di euro è assurdo, considerato che Lucano non ha in tasca un soldo”.
Già, perché nel capo d’imputazione si legge che l’ex sindaco e altri imputati si sono “appropriati in modo sistematico” di “ingenti fondi pubblici destinati alla gestione dell’accoglienza dei rifugiati”. L’episodio più importante alla base della condanna consiste nell’utilizzo di 251.842,78 euro per “acquisto, arredo e ristrutturazione di tre case e un frantoio non rendicontati nei summenzionati progetti e utilizzati per finalità privatistiche“. Si afferma inoltre che Lucano ha “prelevato e/o comunque gestito denaro contante, attinto dai conti correnti dell’associazione, senza alcuna giustificazione (documenti, ricevute, note ecc) nelle rendicontazioni e nella contabilità” per un totale di 92.856,90 euro, nonché “addebitato allo Sprar i costi generati dall’utenza telefonica in uso esclusivo” alla compagna per 2.209 euro. E ciò nonostante il gip di Locri, nell’ordinanza con cui aveva messo l’allora primo cittadino ai domiciliari, avesse parlato di “marchiane inesattezze” e “congetture” proprio sulla distrazione dei fondi, sottolineando che Lucano non aveva mai guadagnato un euro dalle condotte di cui veniva accusato. “Peculato? È come accusare di omicidio un cadavere“, ha detto il suo avvocato Andrea D’Aqua subito dopo la lettura del dispositivo. Restano altri due gradi di giudizio per sapere se è vero.