Il gruppo guidato da Dario Scannapieco, socio di Tim e della rivale Open Fiber, affiancherà l'ex monopolista delle telecomunicazioni nel progetto per la “libreria” virtuale dove verranno archiviati ed elaborati i dati sensibili della pubblica amministrazione
Tim si prepara ad entrare nel vivo la battaglia per la conquista del cloud nazionale, la “libreria” virtuale dove verranno archiviati ed elaborati i dati sensibili della pubblica amministrazione. Con l’aiutino del governo che arriva indirettamente via Cassa depositi e prestiti, braccio finanziario dello Stato, in deciso conflitto d’interessi. Altro che sciogliere il nodo del ruolo “abbastanza anomalo” di Cdp, come aveva promesso mesi fa il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti. Il gruppo guidato da Dario Scannapieco, socio di Tim e della rivale Open Fiber, affiancherà l’ex monopolista delle telecomunicazioni nel progetto per il polo strategico nazionale del cloud. Non solo: accanto a Tim ci saranno anche altre due società controllate dallo Stato, Sogei e Leonardo. Vita dura per la cordata concorrente formata da due aziende private: Almaviva e Aruba.
Tutto questo accade mentre alcune fonti vicine al dossier sostengono che ai piani alti di Tim si stia valutando un’importante riorganizzazione che potrebbe portare ad un deciso ridimensionamento dell’organico, facendo riferimento a “15mila dipendenti di troppo”, cui forse solo una minima parte potrebbe essere assorbita dal progetto cloud: probabilmente il personale informatico e certamente i dipendenti della divisione cloud Noovle. “C’è un problema di competenze. Non si può spostare semplicemente il personale perché è necessario conoscere il business” spiega una fonte che si cela dietro l’anonimato. Tim risponde e precisa che “è destituita di ogni fondamento l’ipotesi che ci sia un piano di esuberi che riguarderebbe circa 15mila dipendenti”. Aggiungendo che “la proposta presentata nei giorni scorsi al Ministero per l’Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale non prevede il trasferimento di alcun dipendente né di Tim né di Noovle“. Per ora c’è solo una certezza: se Tim dovesse vincere la gara per il cloud, ne beneficeranno i suoi conti che non sono particolarmente entusiasmanti. Basti pensare che nel primo semestre 2021, a livello consolidato, l’azienda ha perso il 2,5% di fatturato e il 18,5% di margine operativo lordo, mentre le perdite consolidate sono state di 45 milioni.
Con il progetto cloud in tasca, le cose andrebbero certamente meglio visto che l’ex monopolista deterrà il 45% della nuova società del cloud che sarà partecipata da Cdp al 20%, Leonardo al 25% e Sogei al 10 per cento. “Vincere la gara nel cloud della pubblica amministrazione sarebbe una notizia positiva per Tim perché le consentirebbe di crescere in questo particolare segmento– spiega una nota di Bestinver del 29 settembre – Inoltre il budget complessivo per la digitalizzazione della pubblica amministrazione stanziato dal governo ammonta a 1,9 miliardi”. Al momento, il cloud di Tim è ancora un affare da poche centinaia di milioni (500 milioni di vendite nette e 200 milioni di margine operativo lordo). Tuttavia la società prevede che già nel 2024 le vendite saliranno a 1,4 miliardi. A quel punto, come si legge nell’analisi di Bestinvest, “la quotazione del business del cloud (…) potrebbe aiutare TIM a svelare parte del suo valore nascosto”. Ne saranno soddisfatte le banche creditrici, prima fra tutte Intesa, fra i maggiori finanziatori dell’ex monopolista.
Meno entusiaste saranno invece le società informatiche inhouse delle Regioni che pure impiegano circa 15mila dipendenti a livello nazionale. Aziende pubbliche come Lepida, Liguria digitale, Insiel o Csi Piemonte che negli anni hanno sviluppato un proprio cloud offrendo spazio anche ai dati di enti pubblici, municipalizzate ed aziende sanitarie delle diverse regioni di riferimento. Anche loro, come Fincantieri o Poligrafico dello Stato, ambivano legittimamente a far parte del progetto del cloud pubblico nazionale mettendo a disposizione peraltro competenze sviluppate negli anni. E, invece, non solo rischiano di essere tagliate fuori dalla partita, ma anche di dover gestire personale in esubero per via del venir meno di uno dei driver di crescita più importanti per il futuro aziendale. Una disdetta per le regioni che, forti delle competenze cumulate negli anni, contavano di divenire un riferimento nazionale. Per non parlare dell’Inail che pure vanta un cloud di tutto rispetto.
Articolo aggiornato alle ore 19 del 30 settembre 2021