Dal confronto anche serrato tra i ministri e i 400 giovani delegati è emersa la disarmante verità: la disuguaglianza globale blocca la transizione. Questo lascia la ‘Youth4Climate’ alla PreCop, in un simbolico passaggio di testimone che sa di “ora fateci vedere se davvero ci avete ascoltato” dei ragazzi ai potenti del mondo
Un incontro, ma anche uno scontro. Tra prospettive diverse a seconda della parte del mondo in cui si vive. Tra generazioni. Questo lascia la ‘Youth4Climate’ alla PreCop, in un simbolico passaggio di testimone che sa di “ora fateci vedere se davvero ci avete ascoltato”. Molte storie sono state raccontate in questi giorni, a Milano, soprattutto nell’ultima giornata, quella in cui – prima di dare il via alla PreCop – giovani e ministri di molti Paesi si sono trovati faccia a faccia. Mentre fuori si manifestava, proprio come oggi, e in sala arrivavano notizie di tensioni con la polizia, l’incontro-scontro tra generazioni è andato avanti e il “bla bla bla” lanciato da Greta Thunberg due giorni prima è tornato più volte su quel palco. Nei commenti dei ragazzi, anche sfiduciati. E in quelli dei leader, come il premier Mario Draghi (“Bla bla bla a volte è un modo per nascondere la nostra incapacità”). I giovani delegati hanno rivolto domande e spiegato quali sono gli ostacoli alla transizione nei rispettivi Paesi. Ma in realtà non si è trattato di un botta e risposta. Alcuni leader avevano preparato il discorso e così, semplicemente, hanno detto la loro lasciando le domande dei ragazzi in sospeso. Come ha fatto John Kerry, inviato speciale del presidente Usa Biden per il clima che, davanti alla domanda di un delegato argentino sul problema dell’indebitamento, ha risposto con il suo discorso sul clima. Altri hanno elencato gli interventi attuati nei loro Paesi, come per cercare consenso. “Non siamo qui perché raccontiate quello che avete già fatto e che, evidentemente, non è bastato” è stato detto. Ma c’è stato anche chi quelle storie le ha ascoltate, ha preso appunti e ha anche risposto. Per tutti una consapevolezza mai più chiara: a bloccare la transizione ecologica è, prima di tutto, la disuguaglianza globale. E alla fine il ministro britannico Alok Sharma, presidente designato della COP26: “Spero che i ministri si siano visti presi alla sprovvista e che ciò che stavamo ascoltando li abbia fatti vergognare”.
STORIE DEGLI ALTRI MONDI – Una delegata del Libano ha mostrato una foto della nonna che, in cucina, è costretta ad accendere la candela e un’altra delle code di tre ore per poter fare benzina. Ed è la realtà raccontata anche dalla sudanese Nisreen Elsaim, co-presidente di uno dei quatto gruppi di lavoro che hanno elaborato il documento presentato nella giornata conclusiva della ‘Youth4Climate’ e poi discusso con i ministri presenti a Milano per la PreCop. “Si parla di auto elettriche – racconta Nisreen Elsaim – ma nel mio Paese solo il 30% della popolazione ha accesso all’elettricità, si fanno gli scioperi per manifestare per i propri diritti, ma è anche vero che in Sudan abbiamo 5 milioni di bambini che a scuola non vanno”. E poi ci sono i problemi legati alle inondazioni, in più parti del mondo, raccontate da diversi delegati. Quelle di Antigua e Barbuda: “Siamo nelle prima delle prime linee. Se non ci aiutate non potremo partecipare alle riunioni dei prossimi 30 anni”. Della Libia: “Prima della guerra potevamo avviare la transizione. Perché ci avete lasciati indietro?”.
DIVERSAMENTE VULNERABILI – Sono le storie dei Paesi vulnerabili, in diversi modi vulnerabili. Perché hanno bisogno di misure di adattamento per fronteggiare il cambiamento climatico, ma in misura maggiore e più velocemente degli altri, o perché sono Paesi distrutti dalla guerra. O minacciati, come l’Angola, la Namibia, lo Zambia, che sono al centro di quella che viene definita “la più grande operazione petrolifera del decennio” che interessa il delta interno del fiume Okavago, il secondo più grande al mondo dopo quello del Niger. Ma sono vulnerabili anche i Paesi indebitati, come l’Argentina e tanti altri. E il ministro delle Finanze argentino Martín Guzmán ha confermato le preoccupazioni dei ragazzi: “Le discussioni oneste sono sconvenienti, ma bisogna parlarne. Stiamo considerando l’idea di fare esplorazioni per petrolio e gas lungo le costiere. Ci hanno chiesto di fare delle verifiche sulle possibili conseguenze e siamo andati incontro a questa istanza, ma l’industria petrolifera fa pressione”. Molti ragazzi hanno chiesto se l’obiettivo della COP 26 è arrivare a “raccomandazioni o obiettivi vincolanti”, cosa si preveda per “garantire la trasparenza nella gestione dei fondi” nei Paesi dove è più complicato.
LE RISPOSTE – Alcune risposte non sono arrivate, ma qualche tassello è stato messo. Intanto è parso chiaro che le istanze dei 400 delegati della Youth4Climate sono più ambizione rispetto a quanto si è discusso al G20. Sia il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, sia il ministro britannico Alok Sharma, presidente designato della COP26, hanno concordato sulla necessità che quello con i giovani non diventi un evento isolato ma una prassi, “sostenendo in modo particolare la partecipazione dei giovani che vengono da paesi vulnerabili” e che già questa volta hanno dovuto superare diversi ostacoli pur di essere presenti all’evento milanese. Molto si è discusso di istruzione, perché se il 30% della popolazione di un Paese non ha accesso all’energia, questo significa che non ha accesso neppure all’istruzione. Spianata la strada all’introduzione di una formazione sul cambiamento climatico (che, però, non è una novità). Ma le tante storie di disuguaglianza sociale (e globale) hanno portato più volte al cuore del problema: quei 100 miliardi all’anno che i Paesi più ricchi avrebbero dovuto dare a quelli in via di Sviluppo. E che non ci sono ancora (secondo l’Ocse ne mancano 20, ndr).
IL CUORE DEL PROBLEMA – Tanto da spingere Cingolani prima a dire che si punta a mantenere quella promessa e poi, in conferenza, a ricordare che l’Italia dà 460 milioni e ad annunciare che intende proporre al Governo almeno di raddoppiare (“si potrebbe arrivare al miliardo. Anche se si raddoppia sarebbero pochi, ma dobbiamo tentare”. Ma un aiuto può essere anche quello della compensazione. “Chi inquina, deve pagare” ha detto il ministro dell’ambiente canadese Jonathan Wilkinson, facendo riferimento alle parole pronunciate dall’attivista ugandese Vanessa Nakate. Ora la parola passa ai leader. “Dobbiamo arrivare alla COP 26 con gli Ndc (Nationally determined contributions, i contributi determinati a livello nazionale dai vari Paesi che rientrano nell’accordo di Parigi) in linea con 1,5 gradi di aumento della temperatura” è la premessa. Ma questi giorni raccontano che il problema è più profondo: secondo Oxfam, sulla base degli attuali impegni, l’obiettivo dei 100 miliardi all’anno non sarà raggiunto nemmeno nel 2025. E mancano almeno 75 miliardi ai 600 promessi a Parigi per il periodo 2020-2025.Tutto il resto è ‘bla, bla, bla’.