Nella patria dell'ex sottosegretario leghista costretto alle dimissioni proprio per le dichiarazioni sul parco cittadino (ad agosto ha chiesto di re-intitolarlo a Mussolini), l'ex sindaco Zaccheo sfida l'uscente Coletta. E nonostante le spinte nazionali, dem e 5 stelle non hanno trovato l'intesa per il primo turno
C’è un posto in Italia dove la nostalgia per il fascismo, la politica e la criminalità organizzata coesistono pericolosamente, sembrano lambirsi e quando in alcuni punti arrivano a toccarsi le scintille sono assicurate. Latina, 126mila abitanti, è un gradino sotto al novero delle grandi città al voto in questa tornata elettorale del 3 e 4 ottobre (ci sono Torino, Milano, Roma e Napoli), ma di sicuro rappresenta un crocevia importante per tantissimi motivi. Non fosse altro per quel nome originario, Littoria, che molti discendenti dei coloni arrivati dalla Pianura Padana negli anni 20 e 30 del Novecento continuano ancora a sbandierare con orgoglio e, in alcuni casi, persino gratitudine. Lo sa molto bene Claudio Durigon, coordinatore regionale della Lega nel Lazio e braccio destro di Matteo Salvini, che il 7 agosto scorso, di passaggio nella città che gli ha dato i natali, propose di cancellare l’intitolazione del parco comunale a Falcone e Borsellino preferendo “tornare” al nome originario, quello di Arnaldo Mussolini, fratello del Duce (una furbata per definire l’area verde “Parco Mussolini”). L’uscita non è passata inosservata e – grazie a Il Fatto Quotidiano – si è sollevato un movimento d’opinione tale che il 26 agosto ha costretto l’ex vicesegretario dell’Ugl a lasciare l’incarico di sottosegretario all’Economia del governo Draghi.
I nove candidati – Sembra strano, in questo contesto, notare che il sindaco uscente, Damiano Coletta, sia di centrosinistra. Non del Pd, ufficialmente, perché qui gli eredi di Enrico Berlinguer il simbolo raramente ce lo mettono. Coletta il “miracolo” lo fece già nel 2016, quando all’indomani dell’arresto del suo predecessore, Giovanni Di Giorgi (tra i fondatori di Fratelli d’Italia), i pontini provarono a voltare pagina. Il bis è tutto da guadagnare. Cinque anni fa il centrodestra pontino e frastornato, sfilacciato e diviso. Oggi si presenta unito a sostenere Vincenzo Zaccheo. Una vecchia volpe, uno che il sindaco l’ha già fatto due volte, uscito indenne da tutte le inchieste che lo hanno riguardato, compresa quella più pesante, per la presunta truffa aggravata nella vicenda della metropolitana leggera di Latina: ad agevolare il proscioglimento, lo scorso 18 gennaio, l’intervenuta prescrizione. Tanto è bastato per rilanciarlo. Al primo turno, Coletta non potrà nemmeno contare sul sostegno del M5s, che ha preferito andare da solo proponendo Gianluca Bono. Qui i pentastellati sono delle mosche bianche e Bono viaggia intorno al 3-4%, in realtà quanto potrebbe bastare a Coletta al ballottaggio, in caso di apparentamento, per provare ad agguantare il bis. Marginali gli altri sei candidati: i civici Annalisa Muzio e Antonio Bottoni e la calendiana Nicoletta Zuliani, hanno qualche chance in più di entrare in consiglio comunale; compito improbo per Andrea Ambrosetti (Partito Comunista), Sergio Sciaudone (Solidarietà Sociale) e l’altro civico Giuseppe Antonio Mancini.
Il “fantasma” dei Di Silvio – Sulla politica pontina, da anni, pesano gli effetti delle inchieste sui Di Silvio, il clan sinti imparentato con i romani Casamonica, che “governa” da tempo gli affari illeciti nelle città di fondazione, con le stesse modalità con cui i “cugini” romani si sono imposti nel quadrante sud-est della Capitale. Le indagini della dda nel Sud del Lazio hanno dimostrato che spesso i Di Silvio hanno portato alla politica locale voti e manovalanza. Affari, secondo gli inquirenti, gestiti da Costantino “Cha cha” Di Silvio, considerato fra i più influenti dei boss nel clan. Le indagini sui Di Silvio hanno finito per coinvolgere, in una maniera o nell’altra, molti politici di centrodestra. Il primo fu Pasquale Maietta, già dirigente del Latina Calcio e, soprattutto, deputato e tesoriere alla Camera di Fratelli d’Italia dal 2013 – anno del debutto in Parlamento della forza guidata da Giorgia Meloni – al 2016, quando esce dal partito dopo il suo coinvolgimento nell’inchiesta “Arpalo” con le accuse di riciclaggio aggravato (è attualmente a processo). Indagini, quelle sugli “zingari” di Latina, per le quali gli inquirenti si basano anche sulle dichiarazioni di due pentiti fondamentali: Riccardo Pugliese (figlio di Costantino di Silvio, usa il cognome della madre) e Agostino Riccardo. Quest’ultimo in più occasioni ha tirato in ballo anche politici di primo piano regionale e nazionale, come il consigliere regionale della Lega, Orlando Tripodi, e addirittura la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni (entrambi estranei alle indagini).
Le altre inchieste – Pesano, in questo contesto, le altre indagini portate avanti dalla dda di Roma. L’ultima, denominata “Touchdown”, nel luglio scorso ha travolto Matteo Adinolfi, eurodeputato della Lega e già consigliere comunale alle elezioni 2016, indagato per scambio elettorale politico-mafioso: secondo gli inquirenti, l’imprenditore Raffaele Del Prete avrebbe pagato 45mila al clan Di Silvio per garantirgli 200 voti. A processo è invece finita Gina Cetrone, ex consigliera regionale in quota Cambiamo (il partito di Giovanni Toti), arrestata lo scorso anno per estorsione con metodo mafioso. Altro personaggio chiave è Natan Altomare: non è indagato per mafia, ma è accusato di sequestro di persona e ricettazione, oltre ad essere – per gli inquirenti – amico di Costantino Di Silvio. Altomare è da sempre molto attivo nella politica locale e, tempo fa, era stato fotografato proprio insieme a Durigon quando – è bene specificarlo – Altomare non era gravato da inchieste giudiziarie. Il leader regionale della Lega è estraneo a tutte le indagini. Ma gli incroci pericolosi, a Latina, sembrano essere all’ordine del giorno.