Giusto dotarsi di un salario minimo se non si ha una contrattazione collettiva forte ed è giusto dotarsi, come ha fatto l’Italia e come sta pensando di fare anche l’Unione europea, di un reddito di cittadinanza, o “reddito minimo”, per “aiutare i giovani che hanno avuto un inizio di vita difficile” a entrare nel mondo del lavoro. Parola del commissario europeo per l’Occupazione, gli Affari Sociali e l’Integrazione, Nicolas Schmit, che intervistato da Repubblica si sofferma sulla situazione dell’Ue e dell’Italia e riflette sulle migliori strategie da adottare per favorire la ripresa economica post-pandemia, presentando alcune delle idee inserite all’interno il piano sul lavoro di Bruxelles.

La necessità primaria, spiega Schmit, è quella di creare occupazione e un mercato del lavoro più dinamico, che aiuti le imprese a offrire contratti più a lungo termine e i lavoratori ad accettare anche gli spostamenti sul territorio, con la prospettiva di una stabilizzazione a breve termine. “Le persone sono pronte anche ad accettare una maggiore mobilità quando sanno che, se vengono licenziate, facilmente trovano una soluzione”, dice infatti il commissario che sullo specifico caso italiano aggiunge: “L’Italia può contare su 192 miliardi di euro del Recovery. È una bella quantità di denaro. Va utilizzato per modernizzare l’economia, la Pubblica amministrazione, le scuole, la formazione dei giovani”.

Ma una via da imboccare per favorire questa necessaria ripresa economica, anche in Italia, è quella della vaccinazione. Per questo il commissario sottolinea l’importanza dell’uso del green pass: “Penso che sia un buon approccio. L’unica via d’uscita dalla pandemia è la vaccinazione. Il virus è un attacco alla liberta dei lavoratori”.

Ma è sul modello del reddito di cittadinanza garantito dallo Stato a tutti coloro che sono in cerca di lavoro che si concentra la riflessione di Schmit che, aggiunge, auspica la creazione di un modello simile anche a livello europeo: “La Commissione ha sempre espresso chiaramente la sua posizione sulla necessità di combattere la povertà e l’esclusione – ha affermato – Non si tratta però di mantenere le persone. L’obiettivo è reintegrare, riqualificare per trovare un lavoro, tornare alla normalità sociale, aprire una nuova prospettiva di vita. La cosa migliore resta creare lavoro. Dobbiamo fare in modo che i giovani abbiano le giuste competenze. Vanno istruiti per i posti di lavoro che verranno creati o che sono stati creati. Spesso invece vengono preparati per occupazioni che non esistono. E poi dobbiamo mettere a disposizione nuovi strumenti”. Tipo? “Aiutare le aziende ad assumere giovani. Se noi diamo dei sussidi tu devi assumere i giovani e poi li devi tenere. Non possiamo più accettare un sistema del precariato in cui le aziende assumono i giovani perché ricevono i sussidi e poi, quando non ci sono più quegli aiuti, li scaricano. Il nostro obiettivo è aiutare le imprese, specie piccole e medie, ad assumere i giovani, formarli e tenerli”. E proprio a livello europeo “la presidente della Commissione ha lanciato l’idea di prendersi più cura dei giovani, di chi in particolare ha un basso livello di competenze o di istruzione. Di chi ha abbandonato la scuola. Parliamo di quelli che vengono definiti i bisogni. Un’esigenza abbastanza alta in Italia. Noi dobbiamo assistere i giovani che vengono da famiglie svantaggiate e che hanno un inizio di vita difficile. Bisogna fare fronte alla crescente disuguaglianza sociale. Come possiamo ricostruirlo? Con un’indennità, con una sorta di contratto che lo Stato fa con loro. Una specie di reddito minimo. Uno strumento per aiutare le persone a iniziare o reiniziare la loro vita”. Anche se sulle tempistiche il commissario non si sbilancia, limitandosi ad affermare che in Ue “ci stiamo lavorando”.

Il membro della Commissione affronta anche un altro tema caro all’Italia, quello del salario minimo, che lui stesso definisce “uno degli strumenti giusti. Ci sono Paesi, come l’Italia, che non lo prevedono perché hanno un sistema di contrattazione collettiva molto forte“. Ma aggiunge che “la Commissione non lo imporrà. La differenza la fa proprio l’esistenza di una contrattazione collettiva efficace. Se non c’è, allora, è utile. Ma, certo, la contrattazione collettiva è la soluzione migliore”.

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