Mancano poche ore all’apertura delle urne. Questa è una tornata elettorale diversa. A Napoli si invoca la svolta, il miracolo. San Gennaro, il Santo Patrono della città, il suo già l’ha fatto. Tocca ai napoletani, mai come ora, rimboccarsi le maniche e prendersi cura della loro amata città. C’è qualcuno che per descrivere le attuali condizioni in cui versano ampi pezzi della metropoli all’ombra del Vesuvio, si affida alla prosa della scrittrice partenopea Matilde Serao che nel 1884 diede alle stampe ‘Il ventre di Napoli’.
Un racconto, appunto, dal ‘ventre’, ossia dai quartieri degradati, straripanti di poveri e disadattati, immersi nell’arretratezza e nell’indecente degrado urbano. Un paragone forse ingiusto, dettato dalla rabbia, dalla frustrazione di percepire una città dalle grandi potenzialità, è stata una ex capitale europea, e da decenni ripiegata su se stessa: pigra, rinunciataria, ‘immobile’. Non a caso Antonio Genovesi coniò il termine ‘nonsipuotismo‘ per indicare l’endemico sentimento profondo e inguaribile dell’indole partenopea dell’impossibilità di cambiare le cose.
Il cammino che attende, dunque, i quattro principali candidati Gaetano Manfredi, Catello Maresca, Alessandra Clemente e Antonio Bassolino è durissimo. I problemi di Napoli sono complessi come del resto le emergenze: dal debito nel frattempo cresciuto fino a 3,5 miliardi e che peserà come un macigno sulle spalle del nuovo sindaco fino all’eticamente indegne disuguaglianze economiche, sociali ed educative dentro la città e in rapporto al sistema Paese che vede il Meridione discriminato, oltraggiato e rapinato rispetto al Settentrione. Squilibrio geografico determinato dagli effetti delle politiche aggressive del ventennio berlusconiano a trazione Lega Nord: dal celodurismo secessionista fino al finto federalismo.
A Napoli, in particolare, la furia pandemia ha allargato la forbice della povertà, del disagio e della sofferenza. L’onda d’urto ha sgretolato il ceto medio, marginalizzando la parte più povera della città. Addò mangiano duie, ponno mangià pure tre (dove mangiano due, possono mangiare anche tre) non è solo un antico adagio ma ha rappresentato l’istintiva e inclusiva protezione dei ceti più poveri.
Quel ‘panaro solidale’ spuntato al Centro storico, a pochi passi dalla chiesa del Gesù Nuovo, non è casuale. Il “Chi può metta, chi non può prenda” fu inventato dal medico e santo Giuseppe Moscati ad inizio Novecento per aiutare e soccorrere i poveri-poveri. Ora nel post-covid quel ‘panaro solidale’ si è definitivamente svuotato. Diradate le nebbie del torpore, la città è in macerie. C’è una metropoli da ricostruire, riconnettere e pacificare. Napoli deve diventare una città normale. Può apparire banale, uno slogan ma così non è.
Il nuovo primo cittadino deve dotarsi di un promemoria, un’agenda delle priorità, adottare nei primi cento giorni provvedimenti significativi che diano il senso di una svolta. Napoli deve tornare ad essere la capitale del Mezzogiorno d’Italia. La sfida è enorme. Occorre una classe di amministratori pubblici di alto livello, dei ‘costituenti’ che siano in grado di assumere e perseguire decisioni coraggiose anche impopolari ma finalmente nell’interesse di tutta la collettività. Le cose da fare sono tante. Tra queste la più urgente è mettere in sicurezza le nuove generazioni.
La città non può più ‘regalare’ la sua ‘meglio gioventù’ alla camorra. Le statue, gli altarini, i murales, i simboli sono indizi di un allargamento del consenso sociale verso una subcultura criminogena. Non per forza si è camorristi, ma se ne condividono le condotte. I ‘talebani camorristi’ con barbe lunghe, tatuaggi ossessivi, movenze standardizzate con l’uso smodato di Tik Tok e social simili si autorappresentano per promozionarsi e trasmettere all’esterno la loro appartenenza tribale. Non più clan tradizionali ma ‘bande di camorra’ e quindi più pericolose.
Il tema della lotta alla camorra è centrale, non può essere demandato solo alla magistratura e alle forze dell’ordine. Il nuovo sindaco deve esserne consapevole. Combattere la dispersione scolastica, il disagio giovanile, la povertà educativa, costruire percorsi formativi e di avviamento al lavoro può rappresentare la cifra di una intera sindacatura. Sulle grandi questioni come la rigenerazione e la trasformazione delle ex zone industriali dalla periferia Est a quella Occidentale, non si può più sbagliare. Il presidente Mario Draghi nell’attribuire al sindaco di Napoli, i poteri commissariali per la bonifica dell’ex area industriale di Bagnoli è stato chiaro: “I napoletani aspettano da trent’anni”. Le ingenti risorse del Pnrr e dei fondi aggiuntivi europei non possono essere sperperate. Ora tocca ai candidati sindaco accettare la sfida per il bene di Napoli.