La storia di Giovanni Iannelli ha dell’incredibile se la sua tragica morte non fosse davvero avvenuta il 7 ottobre del 2019, 48 ore dopo l’incidente in una gara ciclistica svoltasi in provincia di Alessandria, a Molino dei Torti.
Giovanni era un ragazzo di 22 anni che correva in bici da quando ne aveva 6 e anche quel sabato di inizio ottobre stava coltivando la sua grande passione mentre gareggiava nell’87esima edizione del “Circuito Molinese”, tanti sogni e una giovane vita per sempre infranti contro un pilastro di mattoni sul quale Giovanni ha sbattuto violentemente la testa a 144 metri dal traguardo. Un pilastro di mattoni lasciato senza alcuna protezione, senza transenne, senza materassi e neppure balle di fieno nonostante si trattasse di una gara del circuito Elite Under 23, ovvero di una categoria un gradino sotto ai professionisti: per regolamento gli organizzatori dovrebbero far apporre transenne per 220 metri su entrambi i lati, non solo per gli ultimi 40 metri prima del traguardo come di fatto è avvenuto in quella competizione tra 78 ciclisti dilettanti lanciati a 69 km orari in volata, in leggera discesa, in un rettilineo stretto e pericoloso.
Il padre di Giovanni, l’avvocato Carlo Iannelli, ospite nella diretta Instagram del blog @_conoscere ci ha raccontato il dolore e lo strazio che da due anni accompagnano lui, la mamma e le due sorelle di Giovanni, “non si tratta di desiderio di vendetta ma di sete di verità e giustizia che può essere ottenuta soltanto con un processo”. Carlo Iannelli capisce subito che qualcosa non va quando apprende che i carabinieri arrivati dal comune vicino scrivono sul verbale che sono giunti sul luogo del sinistro alle 16.15 mentre il termine della gara è registrato alle 16.24. I carabinieri non eseguono rilievi, non fanno misurazioni di alcun tipo, non scattano foto neppure con il cellulare, non interrogano testimoni, neppure gli altri 4 o 5 ciclisti che sono anche loro caduti in prossimità del punto in cui il pedale della bici di Giovanni ha urtato il pilastro di mattoni per sbalzarlo contro l’altro pilastro sul quale c’è stato il violento impatto del casco che si è rotto e ha provocato, dopo 48 ore di coma, la morte del ragazzo. I carabinieri interrogano soltanto la giudice in moto che afferma di aver visto tutto perché si trovava ad una distanza di 10-15 metri dal punto dell’impatto e fa mettere a verbale che Giovanni Iannelli è caduto in maniera autonoma per l’alta velocità mentre cercava di superare a sinistra un gruppo di corridori, tanto che la breve relazione dei carabinieri si conclude con la frase lapidaria “nulla da segnalare”.
Per la giudice Giovanni è stato banalmente incauto, non ha incontrato uno dei tanti pericolosi ostacoli che sporgono sulla carreggiata (oltre a pilastri e muretti, vi sono anche pali, cartelli stradali, cesti dell’immondizia) e non sono stati messi in sicurezza con le transenne o con delle protezioni di gomma! In realtà dal video amatoriale girato dal cellulare di uno spettatore, video che è sempre stato a disposizione degli inquirenti, si evince che la giudice di gara è lontana almeno 60 metri e ha la visuale ostruita, tanto che Carlo Iannelli la denuncia per falsa testimonianza ma ha recentemente appreso della richiesta di archiviazione avanzata dal pm.
L’avvocato Iannelli si domanda e ci domanda se le false dichiarazioni della giudice di gara rese a sommarie informazioni ai carabinieri non configurino il reato di favoreggiamento, non siano cioè motivate dalla volontà di scagionare da ogni colpa gli organizzatori della gara, dato che dal video amatoriale si evince in maniera inconfutabile che la distanza della stessa dal luogo dell’impatto, la sua posizione dal lato opposto della strada e la presenza di un nutrito gruppo di corridori in mezzo non poteva permetterle di vedere proprio nulla. Carlo Iannelli fa notare altre irregolarità e solleva numerosi dubbi, come il fatto che un avvocato della Federciclismo, G.C., responsabile della commissione elettorale nazionale, sia stato scelto come difensore del gruppo sportivo Valle Scrivia che ha organizzato la gara in cui Giovanni ha perso la vita e il fatto che un secondo avvocato federale, N.V., difenda gli organizzatori in sede penale.
A dare il colpo di grazia al padre della vittima è arrivata, lo scorso marzo, l’archiviazione da parte del gip di Alessandria della posizione degli organizzatori della gara che erano stati indagati per la morte di Giovanni: il presidente del Gruppo Sportivo Bassa Valle Scrivia, il direttore e il vicedirettore della corsa. Le motivazioni del gip sono uno schiaffo per la famiglia di Giovanni perché parlano di “rischi ordinari in quella corsa dato che il ciclismo per definizione è pericoloso”. L’avvocato Iannelli ha scritto anche alla Ministra della Giustizia Marta Cartabia, al Csm, al Comando Generale dei Carabinieri ed è tuttora in attesa di risposta. Perché la ferita per la perdita di un figlio e l’amara delusione per l’assenza di un giusto processo non si possono archiviare.