Riflettere, divenire, giocare. In queste tre parole, nello scrigno semantico di questi tre verbi, si cela forse il nucleo della ricerca artistica di Jeff Koons, l’artista americano a cui Palazzo Strozzi a Firenze dedica la grande mostra a cura di Arturo Galansino e Joachim Pissarro, che si apre oggi e resterà aperta fino al 30 gennaio prossimo. Shine è il titolo della mostra: un sostantivo/verbo che ai cinefili evocherà più di un’idea. La luccicanza, lo shining, è infatti la capacità di vedere oltre la superficie che il bambino protagonista del film di Kubrick mostra di avere: lui vede nei labirinti delle oscurità psichiche. Nella produzione di Koons più che di luccicanza si tratta di riflettenza: le sue opere sono spesso straordinari giochi abissali nei quali perdersi. Perdersi con lo sguardo e con la percezione di sé.

Vedendosi riflessi vien da riflettere, si potrebbe dire. Dove sono io spettatore mentre passo accanto a Balloon Dog (1994-2000), un grande cane di acciaio inossidabile lucidato a specchio e verniciato di rosso brillante? Sono davanti alla scultura che mi ammicca ricordando con la sua forma gli animaletti fatti dai clown con i palloncini nelle feste dei bambini, ma sono anche dentro l’opera che mi riflette proprio per il suo shine; e sono anche nel divenire dell’opera perché, muovendomi, in qualche modo sono io che “trasformo” l’opera, la quale mi riflette diversamente in ogni istante. E’ la dimensione performativa delle opere, il loro essere centro di “performance” realizzate dallo spettatore.

Arte democratica, quella di Koons, nel senso che c’è una presa apparentemente immediata di queste opere, le quali in realtà si prestano a molti livelli di lettura. Ma anche arte densa, che reca le tracce di tanti sguardi portati sul passato (“Quando vidi La cacciata dal Paradiso terrestre di Masaccio decisi di produrre un corpus di lavori sulla sessualità che potesse aiutare le persone a rimuovere quel senso di colpa e di vergogna”, dice ad esempio Koons). Certo, c’è l’aspetto ludico, dissacratorio, che si trova in molte opere, come quelle che ricordano il ready-made di Duchamp. Koons prende una friggitrice di acciaio inox e la espone insieme a delle luci fluorescenti (Nelson Automatic Cooker/Deep Fryer, 1979): oggetto decontestualizzato che resterà per sempre brillante contravvenendo alla legge d’uso per la quale era nato. Impreziosito e reso vano, sorta di ossimoro d’uso. Oppure, con un’operazione inversa, prende simboli apparentemente preziosi – siano essi un busto di Luigi XIV o un servizio di Baccarat – e li “abbassa” traducendoli nella quotidianità “proletaria” dell’acciaio inox con il quale li riproduce. In ogni caso c’è un cortocircuito di alto e basso, una demistificazione dell’arte.

Su questa stessa lunghezza d’onda sta la serie Gazing Ball, globi di vetro soffiato disposti accanto o sopra riproduzioni di celebri opere delle quali annientano e rinnovano al tempo stesso l’aura: l’operazione è più complessa, perché Koons riprende fino ai minimi dettagli di colore alcune tele, studiando le tavolozze originali – per esempio L’origine della via Lattea di Tintoretto, o altre da Rubens o Tiziano – o alcune statue antiche riprodotte in un gesso bianchissimo e quasi astratto, in certo senso pop, e le contamina con le palle di vetro blu. C’è cioè non solo la dimensione del gioco, ma anche una sorta di connessione di tempi: la palla di vetro è “una bolla di respiro umano”, dice Koons, e questo respiro sembra trasmettersi alle opere con le quali dialoga, e riportarle al qui e ora, in un incessante rifluire di un tempo in un altro.

Il cuore della mostra sono le superfici riflettenti, brillantemente specchianti di molte opere. In questa congiunzione di pesantezza dell’acciaio e leggerezza dello shining, della riflettenza, c’è una materialità che ha sia del maschile sia del femminile. In effetti la dimensione sessuale dell’arte è al centro della ricerca di Koons, ne costituisce un filo rosso, a volte più dissimulato, per esempio nella forma del desiderio indotto dalle superfici levigate e lucide che hanno un che di “erotico”, a volte più esplicito: basta pensare a Lobster (2007-2012), altro oggetto rosso shining, la cui conformazione contiene sia il maschile della forma fallica sia il femminile della conchiglia botticelliana della coda, sia infine un’allusione ludica ai baffi di Dalì, altro nume tutelare che serpeggia dietro il lavoro di Koons. Oppure alle due Ballon Venus che esaltano gli attributi maschili e femminili in opere che richiamano l’arte primitiva e la sua funzione di simbolo di fertilità. Perché tutto si gioca nell’incontro essenziale che unisce l’arte e la vita e che trova nel sesso la sua estrema sintesi, di cui Koons è il cantore.

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