Anche le mance sono soggette a tassazione perché sono parte del reddito ottenuto con il lavoro. A stabilirlo è una sentenza della Corte di Cassazione, che ha accolto il ricorso del Fisco contro un concierge – responsabile di un hotel di lusso in Costa Smeralda – che ha ricevuto in un anno oltre 80mila euro solo di mance, per poi versarli in banca, senza alcun tipo d’imposta. Il concierge sardo sarà condannato al pagamento dell’Irpef, e con lui anche camerieri, autisti e altri tipi di lavoratori dipendenti. A dare notizia della sentenza è stata pubblicata ieri da Italia Oggi e Sole 24 Ore.
La decisione della Suprema corte si basa sull’articolo 51 del Testo unico delle imposte sui redditi, nel testo post riforma Irpef del 2004, che prevede che il reddito non si limiti al solo salario percepito dal datore di lavoro, ma comprende “tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”.
In un primo momento la Commissione tributaria regionale aveva dato ragione al capo ricevimento parlando di “natura aleatoria” delle mance “percepite direttamente dai clienti senza alcuna relazione con il datore di lavoro”.
I giudici di Cassazione, invece, hanno ribaltato la decisione a favore dell’Agenzia delle Entrate, secondo la quale “deve essere condiviso l’assunto dell’Amministrazione finanziaria” per cui “l’onnicomprensività del concetto di reddito da lavoro dipendente giustifica la totale imponibilità di tutto ciò che il dipendente riceve, anche, quindi, come nel caso in esame, non direttamente dal datore di lavoro, ma sulla cui percezione il dipendente può fare, per sua comune esperienza, ragionevole, se non certo, affidamento”.