L’ultima partita della stagione si giocherà il 23 maggio 1988. Trenta giornate non erano bastate per esprimere tutti i verdetti. Ne mancava uno. Perché le due squadre avevano chiuso appaiate al sesto posto. Serviva uno spareggio per decidere chi sarebbe andato in Uefa. È un match che nessuno vorrebbe mai giocare. E finirà in maniera beffarda.
La decisione della Lega Calcio viene comunicata di venerdì pomeriggio. E finisce per scontentare tutti. D’altronde le due parti in causa lo avevano ripetuto per giorni interi. Non avevano intenzione di giocare di lunedì. Bisognava cambiare data. E anche alla svelta. La Juventus aveva chiesto di anticipare alla domenica. Questione di impegni pregressi. Il giorno dopo Michel Platini avrebbe detto addio al calcio con una partita a Nancy. E non presentarsi sarebbe stato quanto meno irriguardoso. Il Torino aveva chiesto di posticipare tutto al martedì. Perché in settimana aveva giocato la finale di Coppa Italia contro la Sampdoria. E aveva perso il trofeo ai supplementari. Tre giorni erano troppo pochi per recuperare. Meglio contare su un po’ di riposo extra. Il presidente Luciano Nizzola è costretto a mediare. Per giorni telefona, espone, ascolta, annuisce, attacca e poi richiama. All’infinito.
Alla fine il Consiglio di Lega vota all’unanimità: l’ultima partita della stagione si giocherà lunedì 23 maggio 1988. Trenta giornate non erano bastate per esprimere tutti i verdetti. Ne mancava uno. Perché Juventus e Torino avevano chiuso appaiate al sesto posto. Serviva uno spareggio per decidere quale dei due club sarebbe andato in Coppa Uefa. È un derby che nessuno vorrebbe mai giocare. Anche perché è il quinto stagionale. Un pareggio e una vittoria bianconera in campionato, un successo per parte nella semifinale di Coppa Italia. Anche se il Toro era andato avanti grazie alla differenza reti. Ora i due club arrivano alla sfida decisiva nella stessa condizione. Hanno tutto da perdere. E giusto quattro milioni e mezzo di lire da vincere in caso di qualificazione alla Coppa Continentale. La vigilia è agitata. Il giorno prima della partita Boniperti scende nel spogliatoio bianconero. Erano sei mesi che non faceva visita ai giocatori. Questione di scaramanzia. L’ultima volta che si era affacciato la Juventus era stata eliminata dal Panathinaikos nel secondo turno di Coppa Uefa. E da allora aveva preferito evitare.
Solo che stavolta la storia è diversa. Il presidente è furioso. Gli basta guardare i giocatori per far calare un silenzio surreale dentro quelle quattro mura. Lui parla e gli altri annuiscono. Punto. “È imperdonabile essere arrivati al punto di dover disputare uno spareggio per la Uefa“, dice. Passa qualche secondo. Poi Cabrini parla a nome di tutta la squadra. “Ha ragione. Questa era una partita da evitare a ogni costo. Ora ci siamo cacciati in questo brutto pasticcio e dovremo fare il possibile per non gettare al vento tutto il lavoro di un anno”. Boniperti annuisce e saluta. Sa che è inutile aggiungere altro. Sa che la sua missione è finita lì. Sa che i suoi ragazzi daranno il massimo. La società intanto è alle prese con problemi molto più banali. Nessuno si aspettava di dover giocare lo spareggio. Così nessuno si era premurato di prenotare il solito albergo a Villar Perosa. Quando chiamano è troppo tardi. Tutto pieno. Altre comitive hanno già preso tutte le stanze. Niente ritiro. Si resta in sede. Non proprio il massimo.
Qualche giornalista riesce a intercettare Ian Rush. E gli domanda cosa si prova a incontrare ancora una volta il Toro. Il gallese è frastornato. “A Liverpool mi è capitato di giocare addirittura sei volte contro l’Everton in una sola stagione – assicura – Comunque non pensavo di trovarmi in una situazione tanto delicata, soprattutto non immaginavo di dovermi giocare tutto contro il Torino che è diventato il nostro avversario diretto un po’ a sorpresa”. E ancora: “Ma tant’è, giochiamoci questa partita decisiva che per me vale quanto una finale di Coppa d’Inghilterra“. Il Torino invece si è spostato a Saint Vincent. L’idea è quella di rilassare i nervi più che sovraccaricare i muscoli. Anche perché la stagione è stata estenuante. E la sconfitta in finale di Coppa Italia rischia di impiombare i muscoli dei granata. “Prima di tutto io a perdere non ci sto mai. E poi è risaputo che il derby è una partita che fa storia a sé – afferma capitan Cravero – ma è questo è un’altra cosa ancora. Abbiamo il diritto di giocarci alla pare questa possibilità di andare in Europa. Anche se alla pari non saremo comunque visto che loro riposano da domenica scorsa”. E ancora: “Noi non siamo rassegnati, comunque abbiamo ancora una possibilità e ce la giocheremo alla morte”.
È una versione riveduta e corretta del vecchio cuore granata. È l’ultima speranza a cui aggrapparsi. Radice è preoccupato, ma professa calma. In ritiro organizza un torneo di calcio tennis ed è fra i primi a iscriversi alla competizione. Cerca di rasserenare gli animi, di instillare fiducia. Perché sa benissimo che la posta in palio è alta. “A giocare in Uefa ci teniamo parecchio”, dice l’allenatore. “Prima di iniziare a giocare non mi preoccupa niente. Giocheremo con il massimo impegno. Come abbiamo sempre fatto”, aggiunge. La partita in realtà è piuttosto anonima. Così come è anonimo il lunedì pomeriggio in cui si gioca. Il racconto di Bruno Perucca su La Stampa è piuttosto chiaro: “Il resto (scorre, ndr) fra accenni di gioco, errori di tocco, pochezza di idee. La Juve ha confermato la scarsezza di temi cercando per tutta la gara Ian Rush con lunghi lanci”. Al fischio finale è 0-0. Un risultato che resiste anche ai supplementari. Una parità totale che solo la giustizia parziale dei calci di rigore può infrangere.
I tiri dal dischetto sono una sofferenza straziante. All’inizio segnano tutti. Vignola, Cravero, De Agostini, Bresciani. Poi va Sergio Brio. Il suo tiro è flebile, centrale. E finisce addosso a Lorieri. Per il Toro è una grande opportunità. Che presto diventa rimpianto. Comi prende la traversa. Cabrini spiazza Lorieri. Benedetti spara a lato. È il 2-3. Tutto è nei piedi di Rush. Il gallese sistema il pallone dal dischetto e poi indietreggia fino alla limite dell’area di rigore. Fa un passo. Due passi. Tre passi. Quattro passi. Poi apre il piatto destro e cerca di incrociare. Lorieri è spiazzato, la sfera impatta contro la base del palo ed entra in porta. “Per un soffio va dentro il pallone“, dice la voce di Bruno Pizzul. Il gallese corre verso il limite dell’area, fa un saltello, abbraccia i compagni. Massimo Mauro stappa lo spumante. Qualche calciatore improvvisa una danza. Più che gioia si tratta di sollievo. È un pomeriggio particolare, una giornata che chiude una parentesi. Quella di Rino Marchesi alla Juventus. “Auguro alla squadra grossi risultati internazionali”, dice l’allenatore visibilmente emozionato. Ma è anche una porta girevole clamorosa per la storia del Toro. Radice viene confermato per la stagione successiva. Ma qualcosa inizia ad andare storto. Radice lascia il posto a Claudio Sala che lascia il posto a Sergio Vatta. Ma nessuno dei tre riesce a evitare un incubo chiamato retrocessione. Fascetti riporta in A i granata. E apre le porte all’era Mondonico. Ma questa è un’altra storia.