Campione del mondo dei pesi massimi Francesco Damiani lo è stato davvero. Il titolo WBO conquistato qualche giorno fa – assieme alle cinture WBA, IBO e IBF – da Oleksandr Usyk, tra il 1989 e il 1991 è stato proprio di un italiano. È strano anche solo pensare ora ad una cosa del genere, visto che quelli erano gli anni tra gli altri di Mike Tyson, Evander Holyfield e George Foreman. Ma tant’è. Chiusa la carriera di pugile, Damiani ha allenato gli azzurri dilettanti ma con la Federazione oggi collabora soltanto. Sabato notte sarà la seconda voce di Sky per il terzo episodio della sfida Wilder-Fury, valevole per il titolo dei pesi massimi WBC e The Ring.
Damiani, sono giorni in cui quella che è stata la sua categoria vive momenti interessanti.
Usyk e Joshua li ho visti crescere tra i dilettanti. L’ucraino ha una boxe più spumeggiante, si muove meglio, sul ring è molto intelligente. Sarà un avversario tosto per tutti gli altri, non solo per l’inglese.
Come si immagina il match di sabato notte a Las Vegas?
Wilder è sempre rognoso, se nelle prime 5-6 riprese ti prende, ti stacca la testa. Quello di sabato sarà un incontro equilibrato. Ma do favorito Fury, è un pugile indecifrabile, con quelle leve lunghe ti mette sempre in difficoltà, ha una boxe che interrompe tutte le azioni dell’avversario. Dei quattro grandi lo reputo il migliore.
In chi si rivede tra questi pugili?
Forse un po’ in Usyk. Io ero tecnico, la mia boxe era pulita.
È stato molto vicino ad affrontare Holyfield. Stiamo parlando di trent’anni fa.
Ero già in America per l’incontro. Facendo i guanti, ho messo male la caviglia. Distorsione e gonfiore immediato. Non avevo la mobilità necessaria per affrontarlo. Mi avevano offerto di fare tre riprese e chiamare il dottore. Non era nel mio stile, ho rifiutato. La mia borsa era di quasi un milione di dollari, me ne sarebbero rimasti in tasca quasi 700 mila. Una bella cifra, ma oggi si parla di milioni e milioni di euro.
E con Mike Tyson?
Non sono i pugili che decidono chi affrontare, ma i manager. Branchini allora mi disse che contatti ce n’erano stati ma la mia borsa non era soddisfacente, ci offrivano troppo poco.
Gli italiani di oggi?
Guido Vianello è in buone mani, in quelle di un vecchio marpione come Bob Arum. Guido è un ragazzo bravo, che ci crede, con un gran fisico. Vivendo in America, può arrivare un giorno a combattere per un titolo mondiale. Poi tra il dire e il fare…
Da un’investigazione sul comportamento di arbitri e giudici all’Olimpiade di Rio de Janeiro 2016 ne è uscito che almeno 11 incontri sarebbero stati manipolati. Lei se ne era accorto?
Dio bono, se me n’ero accorto… Solo i dirigenti AIBA non se ne erano accorti. È stato vergognoso. Clemente Russo non aveva perso ai quarti con Evgeny Tishchenko. Poteva arrivare in finale, eppure ti tocca accettare e andare via.
Ha seguito l’edizione di Tokyo?
Quest’anno non ho visto niente, colpa della Rai che ha passato solo le donne.
In carriera ha vissuto anche lei verdetti contestati.
Alle Olimpiadi di Los Angeles 1984 mi hanno fregato con l’americano Tyrell Biggs. Ai Giochi parteggiano sempre per il pugile della Nazione ospitante. In Italia avrei vinto. Tra i dilettanti è sempre stato così, quando si arriva in zona calda e ci si giocano le medaglie succede sempre qualcosa di strano.