“Si vince se si allarga la coalizione oltre il Pd. Adesso la partita riguarda le elezioni del 2023“. Di fronte ai primi risultati delle amministrative 2021, spetta a Enrico Letta disegnare il primo orizzonte per il progetto giallorosso. Perché sarà anche stato uno dei voti locali meno partecipati di sempre, ma non per questo avrà meno effetti sul futuro del laboratorio Pd-M5s. Per l’asse uscito dall’esperienza di governo pre Draghi è stato il primo test ufficiale (almeno da quando Giuseppe Conte è diventato presidente dei 5 stelle) e ora che il debutto c’è stato, gli equilibri si adegueranno di conseguenza. I dem non hanno perso tempo e hanno iniziato subito a rivendicare un “Pd perno dell’alleanza” (parola della vicesegretaria Irene Tinagli) perché “i rapporti di forza sono mutati” (ha certificato il padre fondatore Romano Prodi). Ma i conti non si potranno fare senza il leader M5s, alla cui popolarità finora gli stessi dem si sono affidati ciecamente. Leader che si è affrettato a far sentire la sua voce: “E’ confermata l’enorme potenzialità del nuovo corso e la prospettiva politica seria di lavorare assieme alle forze progressiste”, ha detto l’ex premier al Tg1. Insomma: i leader promuovono il progetto, ma sanno che ora la vera sfida sarà posizionarsi e farlo in fretta.
Archiviate le vittorie o le sconfitte nelle città, il pensiero è già a quello che succederà da dopodomani e a partire dai difficilissimi ballottaggi di Roma e Torino. Sul piatto ora pesano i primi risultati e, a partire da quelli, le parti faranno le loro richieste. Il centrosinistra ha vinto al primo turno in tre delle principali città (Milano, Napoli, Bologna) e lo ha fatto con percentuali nette, sfiorando o superando il 60 per cento dei consensi. Ma non solo: il Pd può fregiarsi di essere primo partito nei quattro centri più importanti al voto. Ma, se si guarda il quadro generale, non ha fatto tutto da solo: a Bologna e soprattutto a Napoli, la vittoria porta la firma anche dei 5 stelle. Se infatti in Emilia-Romagna, quello del M5s è stato un contributo simbolico, in Campania è stato un vero e proprio sigillo: lì hanno fatto campagna elettorale tutti i big del Movimento e le piazze piene dell’ex premier non sono passate inosservate. Resta il fatto però che, i 5 stelle escono a pezzi dalla maggior parte delle altre sfide e la loro lista praticamente sparisce al Nord e arranca, seppur resistendo a tratti, al Sud. Conte ha già detto ai suoi che non c’è motivo di disperare, perché “questo è il momento della semina”. Ma sa bene che con quei crolli dovrà fare i conti.
La sconfitta in Calabria e i risultati dei 29 Comuni che hanno testato l’alleanza giallorossa – Sugli equilibri della nuova coalizione peseranno le vittorie, ma anche e soprattutto le sconfitte. L’alleanza non è bastata ad esempio in Calabria, dove la candidata (trovata, dobbiamo dirlo, all’ultimo minuto) Amalia Bruni è arrivata seconda e non ha mai insidiato il centrodestra di Occhiuto. Alle Comunali invece l’intesa si è tentata in altre 27 città, ma con scarsi risultati. A scrutini ancora in corso, possiamo dire che i giallorossi hanno vinto in altre 7 città oltre a Napoli e Bologna (e in tutte il candidato era espressione del Pd): Ravenna; Assisi; San Nicandro Garcanico e Gallipoli (Puglia); Arzano e Frattaminore (Campania), Opera. Sono in vantaggio, ma andranno al ballottaggio in altre 5: Varese, Sulmona, Spoleto, Isernia e Massarosa. Sono in svantaggio, ma vanno al secondo turno a Melito (Napoli) e Cisterna di Latina (Lazio). Hanno già perso invece in 12 città: Pordenone, Grosseto, Cerignola, Nardò, Afragola, Vico Equense, Volla; Carmagnola (Piemonte); Montevarchi (Toscana); Oderzo; San Giuliano Milanese e Busto Arsizio. Ancora non si sanno i risultati di Ruvo di Puglia e Treviglio (Bergamo).
Restano invece aperte le partite di Roma e Torino: qui 5 stelle e Pd non hanno trovato l’intesa per le distanze incolmabili dei partiti a livello locale, ma ora al secondo turno potrebbe cambiare tutto. Può davvero succedere? Sentendo gli attori in campo “no”, guardando agli scenari futuri “molto propabile”. Dal Piemonte sono arrivati i segnali peggiori: subito dopo i primi risultati, sia il candidato dem che la collega M5s hanno rivendicato che “non faranno apparentamenti”. A Roma, le cose non vanno meglio. Lo ha dimostrato il primo commento a caldo di Virginia Raggi: “Sottolineo che sono l’unica che tiene testa alle corazzate di centrodestra e centrosinistra“. Non proprio l’apertura di una prima cittadina che vuole dialogare in vista del secondo turno. Ma da domani si apre una nuova storia e ad avere voce in capitolo non potrà certo essere chi ha perso.
Le vittorie Pd nelle città – Chi ora cerca di fare la voce grossa è sicuramente il Pd, che ha una serie di risultati da rivendicare. Il centrosinistra che era entrato a brandelli nel governo giallorosso di due ere politiche fa, ora porta a casa vittorie nelle principali città andate al voto. E i successi non riguardano solo i candidati sindaci, ma anche e soprattutto la lista. Scontata è vero la vittoria a Bologna: Matteo Lepore vince con il 62% e i dem prendono il 36,2% (era stato il 35% nel 2016). Se si pensa che solo alle Regionali 2020, per un attimo, la Lega aveva sognato la conquista di una delle zone rosse per eccellenza, la vittoria di oggi (insieme ai 5 stelle) non è sempre stata così prevedibile. L’altro risultato meno scontato è quello di Milano: la riconferma al primo turno di Beppe Sala, mai come in questa tornata esponente vicino al Pd, non era considerata una passeggiata: ha preso il 57% e il Pd è primo partito con il 33% (prese il 28,97% nel 2016 e il 35 alle europee 2019). I dem riescono a uscire in vantaggio anche a Torino, dove però dovranno sfidare il centrodestra al ballottaggio. E qui tornano primo partito con il 28,6% (nel 2016 presero il 29,77), dopo che cinque anni fa furono scalzati per 800 voti dal M5s. A Roma sono terzi, ma dietro per pochi decimali a Fdi e la lista Calenda: prendono il 16,4%, mentre nel 2016 erano al 17,2. Sono primi invece a Trieste, dove il centrodestra pensava di strappare la vittoria al primo turno e non ce l’ha fatta: i dem sono al 16,5%, davanti a Fdi e Lega. In Calabria, dove invece ci sono state le elezioni Regionali con la riconferma del centrodestra, il Pd è secondo partito con il 12% dietro a Fi che tocca il 18 per cento.
Com’è andato il M5s e gli squilibri tra Nord e Sud – Sul fronte opposto, il primo test elettorale per Conte è molto complesso. La prima considerazione è che il Movimento, impegnato nella sua rifondazione estiva, è riuscito a presentarsi in 99 su 1.342 Comuni, mentre nel 2016 furono 251 su 1.363. Il tempo per la rifondazione voluta dall’ex premier è stato poco e ci si è limitati appunto “alla semina”. Da qualunque parte la si guardi però, la botta più grossa per il M5s è sicuramente a Torino e Roma: le sindache uscenti M5s furono il simbolo della forza dirompente di un Movimento che viveva il suo periodo di grande espansione, oggi si trovano nella situazione opposta. Però proprio a Torino e Roma, non si è presentata alle urne “la linea Conte”: il M5s ha deciso di correre da solo, in controtendenza con quanto stava avvenendo a livello nazionale. E le urne non hanno ripagato la scelta. A Roma il Movimento si è fermato all’11,3% contro il 35,33% del 2016 e il 17,58% delle europee del 2019. A Torino il M5s prese il 30,01% dei voti eleggendo il sindaco, mentre ora conquista solo l’8,2%, al di sotto anche delle europee del 2019, quando si fermò al 13,33%. A Milano, città dove non ha mai sfondato, il M5s è al 2,8%, peggio ancora del 10,4% del 2016 (8,53% alle Europee del 2019). A Bologna crolla intorno al 3,4% contro il 16,60% del 2016. A Napoli il Movimento, in coalizione con il Pd così come a Bologna, incassa il 10% dei voti, mentre nel 2016 aveva il 9,66% e alle Europee fu primo partito in città con il 39,86%. In Calabria la lista M5s, anche qui coalizzata con i dem, è al 6,2%, contro il 6,27% delle Regionali del 2020, quando Pd e pentastellati sostenevano due candidati diversi, e in netto calo rispetto al 26,69% delle europee del 2019. A mancare sono anche i risultati in Comuni più piccoli e simbolici per il Movimento: a Chioggia ad esempio, dove controllavano il sindaco uscente, sono crollati all’8,58% (cinque anni fa vinsero con il 22). “Dodici anni fa abbiamo fatto l’impossibile. Ora dobbiamo fare il necessario“, ha detto Beppe Grillo a inizio giornata. Per molti, un’analisi post voto fatta in anticipo.