Luciano Spalletti arriva in una nuova squadra, la rivolta come un calzino, parte fortissimo in campionato, inanella vittorie su vittorie, vola primo in classifica, sogna lo scudetto. Un film già visto. Poi qualcosa si rompe, in campo e nello spogliatoio, l’armonia con tifosi e calciatori si spezza, le certezze tattiche di sgretolano, la vittoria non arriva più, i sogni svaniscono e in mano non resta neanche un trofeo. Il copione che il Napoli non vuole rivedere.
Dopo sette giornate, c’è una squadra in Serie A davanti a tutte le altre, e non solo in classifica: il Napoli di Spalletti. Punteggio pieno e piccolo record (soltanto con Sarri nel 2017/2018 il club aveva vinto le prime sette di fila), che vale già una prima fuga: +4 sull’Inter, +6 sulla Roma, addirittura +10 sulla Juventus, soltanto il Milan riesce a tenere il passo. Una dimostrazione di forza, una sensazione costante di solidità e superiorità, unita al bel gioco.
Potremmo considerarlo una sorpresa, ma fino a un certo punto. Quando De Laurentiis la scorsa estate ha annunciato l’ingaggio di Spalletti, non c’erano dubbi che avrebbe avuto un impatto positivo sulla squadra. Perché Spalletti è una garanzia. È quel tipo di allenatore che ricostruisce sulle macerie, crea un gruppo forte con un’identità di gioco precisa, tira fuori il meglio dai suoi calciatori. È ciò che è successo ovunque sia andato in carriera (ricordiamo Pizarro all’Udinese, Nainggolan e Perrotta alla Roma, lo stesso Totti come falso nueve, oppure Brozovic all’Inter trasformato in regista di caratura internazionale). È quello che sta accadendo anche al Napoli: Zielinski è finalmente continuo, Osimhen l’anno scorso oggetto misterioso in questo momento è il più forte centravanti della Serie A, la difesa è la meno battuta del torneo e l’attacco segna a ripetizione.
Spalletti è il segreto di questo inizio sfolgorante del Napoli. Non l’unico. Ci sono anche individualità importanti, di una squadra che era già forte, e in estate è stata praticamente l’unica a non cambiare, mentre le altre tutt’intorno si indebolivano. Gli azzurri sono gli stessi dello scorso anno, con in più Anguissa, ottima intuizione di mercato. In un panorama generale in cui non esiste più una favorita per lo scudetto, potrebbe anche diventarlo il Napoli.
Grazie a Spalletti. Che è un grande allenatore. Però non è mai stato un vincente. Gli è sempre mancato qualcosa per fare l’ultimo passo, cioè conquistare un trofeo importante (i due campionati in Russia con lo Zenit non lo sono abbastanza). Per gli stessi motivi, che se si ripetono non possono essere solo un caso. Una certa fragilità emotiva, trasmessa storicamente alle sue squadre nei big match e nei momenti decisivi. L’intransigenza nella gestione dello spogliatoio, sfociata più d’una volta in veri e propri casi personali (Totti, Icardi) di cui ha risentito tutto l’ambiente. Spalletti è stato sempre il più grande limite di se stesso. L’Inter doveva essere la sua occasione per dimostrare che non era lui il problema delle sue mancate vittorie, ma le squadre da lui allenate, e in un certo senso l’ha fallita. È ancora molto presto, ma chissà che andando avanti così non possa averne un’altra al Napoli. Per scrivere un finale diverso. Per la sua squadra e per se stesso.