Mafie

‘Ndrangheta, la vendetta della cosca: 4 fermi per la morte del fratello di un collaboratore. Il procuratore: “Progettavano altri omicidi”

L'esecuzione fu eseguita il giorno di Natale a distanza di 15 anni dalla scelta di Girolamo Bruzzese di dissociarsi dalla cosca "Crea" di Rizziconi. Marcello Bruzzese fu ucciso a Pesaro con nove colpi di pistola il giorno di Natale del 2018

C’era la cosca Crea dietro l’omicidio di Marcello Bruzzese avvenuto il 25 dicembre 2018 a Pesaro. Per la Procura di Ancona non ci sono dubbi: sono stati Francesco Candiloro e Michelangelo Tripodi gli autori materiali dell’agguato in cui, nella località protetta, morì il fratello del collaboratore di giustizia Girolamo Bruzzese. Venti colpi di pistola calibro mentre l’uomo, che era sotto tutela, parcheggiava la sua auto il giorno di Natale. Per la ‘ndrangheta anche le date hanno un senso e la vendetta trasversale doveva essere eseguita a distanza di 15 anni dalla scelta del fratello della vittima di collaborare. Girolamo Bruzzese, infatti, si era dissociato dalla cosca “Crea” di Rizziconi nel 2003 dopo aver attentato alla vita del boss Teodoro Crea, detto “Toro”.

Il blitz è scattato stamattina all’alba quando i carabinieri del Ros hanno arrestato anche Rocco Versace, di 54 anni, accusato di essere l’organizzatore dell’omicidio. Secondo i pm, infatti, Versace avrebbe aiutato i killer nella pianificazione del delitto partecipando ai sopralluoghi. L’inchiesta della Procura di Ancona si intreccia con quelle delle Dda di Reggio Calabria e Brescia. In particolare i magistrati reggini hanno emesso un secondo provvedimento di fermo nei confronti di Michelangelo Tripodi e di Vincenzo Larosa, accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso.

Coordinata dal procuratore Giovanni Bombardieri (nella foto), dall’aggiunto Gaetano Paci e dal sostituto Francesco Ponzetta, l’indagine ha consentito di ricostruire le dinamiche criminali della cosca di Rizziconi. I fermati, infatti, stavano pianificando più omicidi nell’interesse di Domenico Crea, anche come ritorsione per la sentenza emessa il 12 dicembre 2020 dalla Corte di appello di Reggio Calabria che ha condannato il boss Teodoro Crea, il figlio Giuseppe e Antonio Crea. Tutta la ferocia della famiglia di ‘ndrangheta emerge nelle intercettazioni e nelle conversazioni estrapolate dai cellulari degli indagati che fa progettavano attentati con il bazooka o con esplosivo che sarebbe servito per far saltare in aria un’auto blindata.

“Abbiamo elementi – ha affermato il procuratore di Reggio durante la conferenza stampa – sulla volontà di perseguire attentati nei confronti di chi si era reso responsabile delle disgrazie giudiziarie degli esponenti della cosca Crea. Questo ci ha indotto a intervenire. Non si tratta di un’intercettazione in particolare, ma di tutta una serie di elementi che sono stati acquisiti e che fanno riferimento ai due soggetti della cosca Crea che progettavano concretamente almeno due attentati”. Nel dettaglio, il procuratore ha ricordato “una conversazione in cui uno dei fermati, parlando di una sentenza della Corte d’appello, diceva che ci voleva un’Ak47, un kalashnikov e sparare ‘a go go’. Ci sono riferimenti, infatti, a un’autovettura blindata che sarebbe dovuta esplodere ma pure ad ulteriori attentati programmati in altri distretti, come a Brescia. Non abbiamo elementi su chi doveva essere la vittima di questi attentati”.

“I fermi di oggi – ha spiegato il procuratore aggiunto Gaetano Paci – sono provvedimenti che si inseriscono in una storia criminale in cui la cosca Crea, a differenza di altre cosche della provincia, si caratterizza per l’estrema ferocia e determinazione nel voler perseguire, anche a distanza di molti anni, propositi di vendetta”. Secondo il magistrato, “l’inchiesta mette in evidenza un dato straordinariamente rilevante: cioè nonostante la perdurante detenzione dell’anziano patriarca Teodoro ‘Toro’ Crea e dei figli, entrambi sottoposti al 41 bis, abbiamo sul territorio gruppi criminali che sanno muoversi sullo scenario nazionale. I soggetti fermati, infatti, manifestano devozione, asservimento e una volontà di perseguire i loro propositi criminali senza alcun tipo di esitazione”.

Ritornando all’omicidio di Marcello Bruzzese, le due indagini della Dda di Ancona e Reggio Calabria hanno consentito di scoprire che i killer della cosca Crea monitoravano anche gli altri fratelli del collaboratore di giustizia, residenti in diverse località protette. In tale ottica, gli interessati avevano eseguito anche tentativi di contattare i Bruzzese sul web, attraverso fittizi account.

“Non spetta a me esprimermi in merito alla sicurezza dei collaboratori e sull’omicidio che si è verificato. – ha concluso Bombardieri – È evidente che ci sono aspetti di tutela e di sicurezza che non competono all’autorità giudiziaria. Sicuramente l’esigenza di intervenire a tutela di tutti ci ha spinti a intervenire in questo momento, magari anticipando i tempi di un’indagine che poteva svilupparsi in maniera più ampia. Noi siamo qua proprio per garantire in tutti i modi possibili, e per come ci compete, la sicurezza di chi si espone con denunce contro la criminalità organizzata”.