Secondo uno studio pubblicato sul Journal of Personality and Social Psychology guidato dalla dottoressa Marissa Sharif, docente di marketing alla Wharton School della University of Pennsylvania, la sensazione di benessere provata con il tempo libero diminuisce più è grande la quantità di ore che abbiamo a disposizione: "Nel 1901, la popolazione italiana contava 40 milioni di persone che lavoravano per 70 miliardi di ore all’anno; oggi siamo 60 milioni e facciamo solo 40 miliardi di ore di lavoro, producendo molto di più. Abbiamo quindi più tempo ma lo distribuiamo male. Ci sono padri che lavorano tanto e figli disoccupati, poveri di soldi, ma ricchi di tempo...", spiega Domenico De Masi a FQMagazine
Ci circondiamo di tanti dispositivi per risparmiare tempo, liberandoci dalle attività che riteniamo noiose e ripetitive. E poi finisce che se abbiamo troppo tempo libero ci sentiamo male. Secondo infatti uno studio pubblicato sul Journal of Personality and Social Psychology guidato dalla dottoressa Marissa Sharif, docente di marketing alla Wharton School della University of Pennsylvania, le persone provano una crescente sensazione di benessere se trascorrono fino a 2 ore di tempo libero. Questa sensazione però non migliora nelle ore successive per poi diminuire drasticamente e sentirsi di malumore dopo 5 ore di inattività. Secondo la Sharif, questo succederebbe perché “subentra un senso di improduttività, di mancanza di scopo che peggiora l’umore”.
Non è che allora siamo destinati a restare sempre indaffarati?
“Il fatto è che viviamo in una società dove ci insegnano a essere solo produttivi. Non abbiamo un’educazione al tempo libero”, commenta il professor Domenico De Masi, sociologo e professore di sociologia del lavoro alla Sapienza di Roma, particolarmente noto per i suoi saggi sull’”ozio creativo”. Un’idea confermata anche da altri studiosi come Christopher K. Hsee, dell’università di Chicago, per il quale il lavoro è percepito come virtuoso e fonte di approvazione degli altri.
“È un dato di fatto che gli esseri umani sono attivi dalla nascita e, ancora prima, nel ventre materno”, ci spiega De Masi. “Sia di giorno che di notte, con il corpo e la mente, siamo in attività con pensieri, azioni e sogni. Migliaia di attività che sono in parte retribuite – il lavoro – mentre il resto è lo spazio libero che potremmo occupare con interessi slegati dal sistema produttivo. Perché il tempo libero rappresenta ormai i 9/10 della nostra vita, e va valorizzato”.
E chi dovrebbe occuparsi di formare le persone al buon impiego di questo tempo?
“La famiglia, la scuola e i media. Sono questi gli ambiti dove costruire un’altra consapevolezza”.
La sensazione però è che la famiglia abbia pochi strumenti culturali per farlo e la scuola sia ancora legata a vecchi schemi. Mentre i media…
“La nostra cultura è ancora troppo permeata dal senso di colpa, di stampo cattolico, frutto dell’antico detto che l’’ozio è il padre dei vizi’. E allora siamo spinti a sentirci utili solo se lavoriamo. Ricordo l’amministratore delegato di una grande banca che portava il lavoro a casa nel week-end, perché ‘se non lavoro mi viene il mal di testa’! Inoltre, a differenza dei Paesi protestanti, nei Paesi cattolici, oltre all’orario contrattuale di lavoro si tende ogni giorno a fare un paio d’ore di straordinario non retribuito. Ricordo una mia ricerca dove ho messo a confronto i dipendenti di Mercedes Italia e Germania. A Stoccarda escono dal luogo di lavoro, puntuali alle 17, operai e dirigenti, concedendosi spazi di tempo per sé; in Italia, molti tra i quadri restano in ufficio ore in più e arrivano a casa la sera stanchissimi, quando ormai i figli sono già usciti o dormono già. La scuola stessa ha avuto ministri, anche recentemente, che affermavano che la formazione scolastica doveva concentrarsi su inglese, informatica e impresa. Tutto un programma che si concentra sul lavoro e ignora le potenzialità del tempo libero. I media sarebbero attualmente l’unico vero aiuto e novità per valorizzare il tempo libero. Con i moderni dispositivi possiamo leggere di più, collegarci e relazionarci agli altri, almeno virtualmente. Anche se poi, in fondo, i media affiancano scuola e famiglia per diffondere un’idea onnivora del lavoro, della produzione e del profitto”.
Nonostante tutto, è diffusa l’espressione “mi manca il tempo”.
“Le indico un altro dato. Nel 1901, la popolazione italiana contava 40 milioni di persone che lavoravano per 70 miliardi di ore all’anno; oggi siamo 60 milioni e facciamo solo 40 miliardi di ore di lavoro, producendo molto di più. Abbiamo quindi più tempo ma lo distribuiamo male. Ci sono padri che lavorano tanto e figli disoccupati, poveri di soldi, ma ricchi di tempo. E anche se molte cose del tempo libero costano, perché tutto è mercificato, ci sarebbero ancora spazi per esprimersi e dedicarsi a se stessi”.
Ritorniamo all’idea che manca un’educazione all’ozio, al tempo liberato.
“Lo smartworking potrebbe risolvere, almeno in parte, questo dilemma, ma è ancora avversato nel mondo del lavoro. In realtà, dovremmo imparare qualcosa dall’antica Grecia”.
Dobbiamo andare così indietro nel tempo?
“Sì, perché secondo i Greci il lavoro impediva di pensare alle cose superiori. Deformava i corpi e le anime di tutti i contadini, gli operai e gli artigiani. E per questo i cittadini liberi delegavano tutte le attività più faticose ed estenuanti agli schiavi. Oggi molti dei lavori più monotoni, faticosi e pericolosi li fanno le macchine”.
E allora a cosa potremmo dedicarci per fare del bene a noi stessi?
“I Greci si dedicavano all’atletica per educare il corpo, alla filosofia per arricchire lo spirito, al teatro per trasferire i miti fondativi, alla politica per organizzare la città: pensi che un uomo greco a 40 anni aveva già assistito almeno a 300 rappresentazioni teatrali. Anche noi nel tempo libero potremmo dedicarci alla cultura, all’amicizia, al gioco, all’amore, alla convivialità e poi, offrire il nostro tempo alla politica, intesa come gestione della polis. Serve una sintesi tra quella visione greca e la nostra epoca in cui gli schiavi di oggi sono gli strumenti tecnologici. Per esempio, una casalinga americana ha a disposizione un numero di elettrodomestici equivalenti a 33 schiavi dell’epoca greco-romana”.
Nel frattempo, dopo poche ore di tempo libero si corre il rischio di sentirci depressi.
“Significa che non si hanno curiosità intellettuali e non si sono coltivati altri interessi oltre il lavoro. E poi c’è un altro dato. Prima la vita media era più breve e, quando si andava in pensione, mancava poco alla morte. Oggi si va in pensione con una speranza di vita di altri 20 o 30 anni. Lì sta il problema. Essendoci dedicati per tutta l’esistenza all’attività lavorativa – spesso con impieghi alienanti e in ambienti lavorativi che non valorizzano la persona – trascurando la propria crescita culturale con hobby, letture, cinema, amori… ci sentiamo persi, ci assale un senso di vuoto e perdita di identità che porta a una depressione terribile. Per questo insisto che occorre un’educazione al tempo libero: è persino più importante del tempo del lavoro”.
Che suggerimenti pratici potrebbe dare per invertire, almeno individualmente, questa tendenza?
“Prendere atto della conquistata longevità, del fatto che il lavoro non è tutto, che il progresso tecnologico ci fornisce infinite protesi con cui arricchire il nostro corpo di sensazioni e funzioni. Imparare ad arricchire le nostre ore mischiando il lavoro con lo studio e con il gioco in quel mix sublime che io chiamo ‘ozio creativo’”.