A poco più di tre mesi da quello che un clamoroso rinvio a giudizio potrebbe esserci un colpo di scena nel processo al cardinale Angelo Becciu imputato per peculato e abuso d’ufficio anche in concorso, nonché di subornazione. Il porporato non è l’unico finito alla sbarra le indagini relative all’acquisto del palazzo di Londra da parte della Segreteria di Stato: ci altre nove persone – tra cui Cecilia Marogna – e quattro società. Mercoledì il presidente del Tribunale Vaticano, Giuseppe Pignatone (nella foto), leggerà l’ordinanza dopo aver ascoltato oggi le richieste delle difese, che hanno chiesto l’annullamento del giudizio, e la posizione dell’accusa – che ha richiesto la restituzione degli atti.
Gli avvocati difensori hanno eccepito l’annullamento “per omesso deposito degli atti” del decreto di citazione in giudizio dei dieci imputati. I legali avvocati hanno contestato il fatto che i promotori di giustizia – coloro che sostengono l’accusa – si sarebbero rifiutati per motivi di privacy di adempiere agli obblighi del Tribunale di depositare entro il 10 agosto il materiale mancante, a cominciare dalle registrazioni video e audio rese da monsignor Alberto Perlasca, responsabile dell’Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato fino al 2019, delle quali resta al momento solo un verbale di sintesi. Eppure il racconto del presule è ritenuto importantissimo soprattutto riguardo la posizione di Becciu, oggi presente in aula.
Le dichiarazioni di Perlasca non depositate – Perlasca, responsabile dell’Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato fino al 2019, aveva riferito a Becciu le domande dei magistrati dell’Ufficio del promotore di Giustizia sulla manager sarda Cecilia Marogna, cui erano stati versati 575mila euro della Santa Sede. L’interrogatorio del monsignore era avvenuto solo pochi giorni dopo la segnalazione da parte della Nunziatura di Lubiana relativa alla manager cagliaritana e alla sua società Logsic. A lui erano stati perquisiti documenti e computer nel febbraio 2020 e figurava inizialmente tra le persone sotto indagine. Perlasca quindi è stato sentito cinque volte, due come indagato e tre come persona informata dei fatti. Gli avvocati, in considerazione delle sue dichiarazioni, hanno dichiarato che finché non potranno visionare il materiale continueranno ad opporsi. Il promotore di giustizia Alessandro Diddi ha replicato: “Nessuno vi vuole privare di nulla. Non abbiamo detto che non vogliamo dare i video ma abbiamo chiesto la possibilità di tutelare la riservatezza di terzi”, ha detto in riferimento all’interrogatorio di Perlasca. Pignatone ha fatto notare che la difesa deve però avere a disposizione tutti gli atti. Si parla di oltre 300 Dvd per un costo di quasi 371mila euro: “Non è facile”, ha ribattuto il promotore aggiunto. Per questo l’accusa ha fatto una scelta del materiale realmente rilevante per il processo. Ma gli atti in questione dovevano essere espunti prima della citazione in giudizio, ha replicato Pignatone.
L’accusa, la restituzione degli atti e il j’accuse ai media – Ma l’udienza si era aperta con una richiesta del promotore che egli stesso ha definito “sorprendente” e cioè la restituzione degli atti processuali (oltre 29mila documenti) all’Ufficio del Promotore. Cosa che significherebbe far ripartire da zero il processo con nuovi interrogatori. Secondo Diddi, sarebbe un modo per “venire incontro” alle esigenze di alcuni avvocati e una “testimonianza concreta che non si vogliono calpestare i diritti della difesa”. L’accusa ha parlato di “disagio” e denunciato “attacchi violenti a questo Ufficio e al Tribunale” da parte di alcuni media, secondo i quali “c’è una sentenza di condanna già scritta”. “Il processo – ha lamentato Diddi – sta crescendo con montature false. Quali sarebbero le prove false? Questo Tribunale non se lo può permettere”. A sua volta il presidente Pignatone ha detto che per il tribunale “è irrilevante ciò che esce dai media, contano gli atti e la loro completezza che ancora non c’è“. A proposito del mancato deposito di atti, l’avvocato Bassi che difende Fabrizio Tirabassi ha parlato di “denegata giustizia”. Il legale del cardinale Becciu, Fabio Viglione, ha ricordato che “garantismo non significa offrire opzioni per nuovi interrogatori”, in pratica quello che ha chiesto Diddi proponendo la restituzione degli atti al Promotore di giustizia, “ma la difesa deve potere attingere a tutti gli atti“.