Al momento della loro pubblicazione, le cifre di bilancio 2020/21 della Juventus avevano battuto il record di perdite relative a una singola annualità detenuto dall’Inter del 2006/07: 210 milioni contro i 206 dei nerazzurri. I quali, pochi giorni dopo, si sono ripresi questo poco esaltante primato facendo registrare una perdita di esercizio di 245,6 milioni. Quindici anni fa non si stava transitando in mezzo a una pandemia, pertanto è ovvio che questi dati possano essere messi a confronto solo per mera curiosità statistica. Il Covid-19 è la principale, se non unica, giustificazione fornita dalle rispettive dirigenze in merito a cifre tanto negative. Se l’impatto del virus sui conti del calcio globale è stato ovviamente innegabile, quelle di Juventus e Inter rimangono tuttavia mezze verità. Dietro le quali, nel caso dei bianconeri, si nasconde una tendenza verso saldi finanziari negativi presente già prima della pandemia.
Nella stagione 2016/17 la Juventus chiuse con un avanzo netto di 43 milioni di euro. Ma a partire dall’anno successivo i numeri hanno cominciato a tingersi di rosso (-19 milioni), dando vita a un’emorragia poi esplosa in tempi recenti (-40 milioni nel 2018/19, -90 milioni nel 2019/20, – 210 milioni nel 2020/21). Eppure il fatturato dell’ultimo anno (trasferimenti esclusi) è diminuito solo del 6% rispetto a quello degli anni pre-Covid, passando dai 464 milioni del 18/19 ai 438 dell’ultimo bilancio presentato. Numeri migliori rispetto a quelli di buona parte dei top club europei, le cui entrate sono diminuite in maniera più drastica. Pertanto la perdita record non può essere imputata al calo del fatturato. Il problema sono i costi, esplosi negli ultimi anni con l’arrivo di Cristiano Ronaldo, ma anche di altri giocatori che hanno comportato esborsi notevoli, senza però fornire prestazioni sul campo equiparabili a quelle del portoghese. Una precisazione doverosa per ribadire come l’operazione CR7 ha contribuito a trasformare la Juventus in un club dal bilancio in perdita strutturale, ma non è stata la sola responsabile.
Alla base delle spese fuori controllo c’è stata la volontà di restare al passo con i top club, nonostante i bianconeri potessero contare su ricavi ben inferiori. A livello di fatturato, infatti, la società di Torino appartiene alla terza fascia d’Europa, quella che genera entrate tra i 400 e i 500 milioni. Livello Chelsea, Arsenal e Tottenham Hotspur, per inquadrare il contesto. La seconda fascia (Paris Saint Germain, Bayern Monaco, Liverpool e Manchester City) gravita attorno ai 600-700 milioni, mentre la prima (Real Madrid, Barcellona, Manchester United) si attesta tra i 700 e gli 850 milioni. Dopo una lieve flessione della voce di spesa relativa agli stipendi registrata nel 19/20 (284 milioni contro i 328 della gestione precedente, grazie alla riduzione degli stipendi nel periodo in cui non si è giocato), c’è stata una nuova impennata fino a raggiungere i 323 mln. In un mondo del calcio ancora ben lontano dal riprendersi dagli effetti della pandemia, un simile incremento ha portato al 74% l’incidenza del costo del personale sul budget in casa Juventus. Per ogni euro incassato, 74 centesimi sono destinati agli stipendi. Nel 17/18 tale quota si attestava al 64%, in piena regola con le direttive Uefa.
Fino a un paio di stagioni fa la Juventus riusciva a compensare le alte spese in stipendi con operazioni in uscita sul mercato che portavano nelle casse del club una media di 130 milioni l’anno. Nel 2020/21 questa cifra è scesa a 31 milioni, sia a causa di un mercato ancora rigido, dove in pochi possono permettersi di continuare a spendere e spandere, sia per una rosa piena di giocatori il cui livello non è pari a quello dello stipendio percepito, rendendoli fuori target per la stragrande maggioranza dei club. Il ventre molle del bilancio juventino è rappresentato dalla voce di costo ‘Ammortamenti e svalutazioni diritti calciatori’, che indica il valore patrimoniale attribuito al parco calciatori. Maggiore è la qualità della rosa, più alta risulta questa cifra. Matthijs de Ligt, attualmente il giocatore più costoso in casa Juve, può fungere da esempio: nell’estate 2019 è stato acquistato per 86 milioni con un contratto quinquennale. Di conseguenza, nei cinque esercizi di bilancio successivi all’arrivo dell’olandese la Juventus deve registrare 17 milioni di svalutazione per il suo difensore. Nel 2015-16 la cifra complessiva di tale costo ammontava a 67 milioni, per poi crescere progressivamente: 83, 108, 149, 167, per arrivare agli attuali 195 milioni.
Numeri più che raddoppiati negli ultimi cinque anni e causa principale del record di perdite della società. Sottraendo infatti agli ammortamenti gli incassi sul mercato (195-31) si ottengono 166 milioni di euro, che compongono il 79% del disavanzo complessivo. La cessione di Ronaldo rappresenta senza dubbio una boccata di ossigeno per le finanze juventine, non solo per 15 milioni incassati dal Manchester United, ma anche per l’alleggerimento di 30 milioni alla voce ammortamenti (120 mln di costo suddiviso in quattro anni di contratto), anche se poi questa cifra andrebbe calcolata al netto del calo dei ricavi commerciali derivanti dalla partenza del giocatore. Cinque invece sono i milioni risparmiati dalla cessione di Cristian Romero all’Atalanta, che ha pagato il difensore 16 milioni. Gli arrivi di Weston McKennie (Schalke 04), Mohammed Ihattaren (PSV) e Kaio Jorge (Santos) riportano però la questione al punto di partenza, con gli ammortamenti destinati a salire ancora. Senza considerare le formule del prestito con successivo pagamento dilazionato che hanno portato in bianconero Federico Chiesa e Manuel Locatelli. Numeri alla mano, per sistemare il bilancio nel 2022 la Juventus dovrebbe vendere giocatori per una cifra che oscilla tra i 120 e i 140 milioni di euro. Nel proprio rapporto annuale la dirigenza sostiene che il mancato guadagno della scorsa stagione ammonta a circa 70 milioni e ciò significa che, anche computando tali entrate, il disavanzo si sarebbe comunque attestato sui 140 milioni. Una situazione che, anno dopo anno, può essere sostenuta solo da continue ricapitalizzazioni. Oppure dal progetto Superlega, di cui la Vecchia Signora è, assieme a fabbriche di debiti quali Real Madrid e Barcellona (quest’ultimo un club tecnicamente fallito), la più strenua sostenitrice.