Sette ore di buio totale, di blackout, di coma profondo digitale: WhatsApp bloccato, Facebook bloccato, Instagram bloccato.

Crollo planetario, crollo planetario delle tre piattaforme, in concomitanza con l’intervista rilasciata a 60 minutes della talpa bionda Frances Haugen. Di Instagram non mi frega nulla, di Facebook qualcosina, ma è il blocco di WhatsApp a ferirmi, a farmi scoprire che sono un drogato di meme, vocali, messaggini, video personali e video con link. Dovrebbero colpirmi i problemi legati alla democrazia e alla privacy, invece è solo il mio mondo interiore che mi interessa.

Vittima di un autismo da WhatsApp conclamato, consapevole di questa mia deformità, annaspo, mi angoscio, quasi soffoco. Sono pronto a barattare tutti i miei gusti, i miei desideri, la mia privacy per un meme in più. Spiatemi, spiatemi tutto, spogliatemi ma lasciatemi WhatsApp. La vita reale? E che sarà mai? La realtà è stata sopravvalutata, non ha più alcuna incidenza nella nuova “realtà applicata”, almeno non per me, affetto da snobismo ontologico acuto.

Ethel, dove sei? Che fine hai fatto? Perché non spunti i miei messaggi? Dove sono finite le rassicuranti spunte azzurre?

Di colpo mi sento un fantasma, e tutta la mia realtà si rivela per quello che è o non è: un fantasma universale. È come se fosse sparito l’oceano per sette ore o il cielo sopra di me. Mi getto su Google alla ricerca di una risposta alla mia angoscia, leggo un messaggio che mi fa sorridere: “approfittatene per mandarvi a fanculo nella vita reale”. Ancora questa vita reale, questa scocciatura ormai antidiluviana che pretende e rivendica attenzione. Toglietemi un vocale e mi sentirò muto, toglietemi un meme e mi sembrerà di vivere nella cecità più profonda. La realtà, l’odiosa realtà emana un fetore insopportabile, un fetore cadaverico. Torno a sentire il dolore al fianco, torna il mio corpo, con le sue arterie, il suo sangue, le sue testarde pompe cardiache.

Che cos’è questa oscena presenza di vita nella mia vita? Sono sdraiato sul letto, le coperte spettinate, i cuscini divorati, fuori le stelle vogliono farsi rivedere, mi fanno cenni fotonici, e io le ignoro, che cosa sarà mai una stella al cospetto di un’applicazione? A me mancano le spunte azzurre, non le stelle. Una spunta azzurra significa che Ethel ha letto i miei messaggi, le mie parole, i miei desideri. Senza spunte azzurre la vita non ha più senso, si dilegua, sparisce.

Una mosca si posa sullo schermo del cellulare, sono al buio con lo schermo acceso e una mosca fissa, ferma. Questa mosca sarebbe la vita reale? Questa mosca sarebbe il corpo di Ethel, l’odore di Ethel, l’odore della mia esistenza?

Non faccio in tempo a schiacciarla, vola via! Maledetta vita reale che voli via, senza curarti di noi. Per questo ti odio, perché sei una fabbrica di addii, mentre io su WhatsApp ho conservato tutti i miei amori, perché la vita reale è come La carogna di Baudelaire, una carcassa putrescente, ma WhatsApp conserva la forma e l’essenza divina di tutti i miei decomposti amori. Fermati, attimino, sei bello! Mi arrendo alla civiltà dell’attimino. Vendo la mia anima. Vendo tutto, anche l’argenteria, ma lasciatemi un vocale da scagliare nella realtà applicata.

Ethel! Ethel, dove sei? Che dici? Ti chiamo? Ma no, aspettiamo le spunte azzurre, domani torneranno, ne sono certo.

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