Secondo i giudici "devono ritenersi accertati i rapporti sessuali, di varia natura ed intensità, tra l'imputato e la persona offesa, effettivamente protrattisi per l'intero arco ultraquinquennale". Ma "difetta la prova per affermare che la vittima sia stata costretta"
Il Tribunale Vaticano, presieduto da Giuseppe Pignatone, nell’ambito del processo sugli abusi sessuali sui chierichetti del Papa, ha prosciolto don Gabriele Martinelli, all’epoca dei fatti minorenne ed ex allievo del Preseminario Vaticano San Pio X, e don Enrico Radice, ex rettore dell’istituto. Respinte totalmente le richieste del promotore di giustizia della Santa Sede, Roberto Zannotti. Per alcuni reati sono assolti, per altri non punibili, per altri ancora è intervenuta la prescrizione. Il pm aveva chiesto sei anni di reclusione per don Martinelli per atti di violenza carnale aggravata e atti di libidine aggravati e quattro anni per don Radice per favoreggiamento. Quest’ultimo reato era stato così configurato, aveva spiegato Zannotti, dal momento che nell’ordinamento penale vaticano non è previsto il reato di concorso in violenza sessuale per il quale indaga, invece, la Procura di Roma che ha aperto un procedimento analogo a quello della Santa Sede. Respinta anche la richiesta risarcitoria di 500mila euro presentata dalla presunta vittima che si era costituita parte civile.
“Il Tribunale – si legge in un comunicato stampa dello stesso organismo vaticano – ha stabilito che debbano ritenersi accertati i rapporti sessuali, di varia natura ed intensità, tra l’imputato e la persona offesa, effettivamente protrattisi per l’intero arco ultraquinquennale; viceversa, difetta la prova per affermare che la vittima sia stata costretta a detti rapporti dall’imputato con la contestata violenza o minaccia. In particolare, l’impossibilità di ritenere la costrizione della vittima provata al di là di ogni ragionevole dubbio deriva da alcune significative contraddizioni ed illogicità presenti nelle dichiarazioni rese in diverse occasioni dalla vittima, da quanto emerge dai messaggi telefonici scambiati con il Martinelli, e dal fatto che molti dei testi presenti nelle stesse stanze in cui, di volta in volta, avrebbero avuto luogo i rapporti sessuali hanno ripetutamente affermato di non avere mai visto o sentito nulla”. Per questo motivo, Martinelli “è stato dichiarato non punibile in relazione ai fatti contestati fino al 9 agosto 2008 perché era all’epoca minore degli anni 16”, come previsto dall’ordinamento vaticano. “Assolto dai reati a lui contestati per il periodo successivo all’agosto 2008 per insufficienza di prove“. Inoltre, il Tribunale “ha ritenuto che i fatti relativi al periodo dal 9 agosto 2008 al 19 marzo 2009 (data in cui anche la presunta vittima ha compiuto 16 anni), come detto certamente provati nella loro materialità, difettando solo la certezza in ordine alla coartazione della vittima, integrino comunque il reato di corruzione di minorenni che è stato però dichiarato estinto per prescrizione, maturata già nel 2014, cioè molti anni prima della presentazione della querela (18 aprile 2018) e quindi dell’inizio delle indagini”.
Con la sentenza di primo grado del Tribunale Vaticano, si conclude un processo durato un anno e fortemente voluto da Papa Francesco. Come, infatti, spiegò la Santa Sede al momento dei rinvii a giudizio, “nonostante i fatti denunciati risalgano ad anni in cui la legge all’epoca in vigore impediva il processo in assenza di querela della persona offesa da presentarsi entro un anno dai fatti contestati, il rinvio è stato possibile in virtù di un apposito provvedimento del Santo Padre del 29 luglio 2019, che ha rimosso la causa di improcedibilità”. Ma alla prova del dibattimento, l’impianto accusatorio è crollato.
“Questo processo non si doveva celebrare – aveva spiegato nella sua arringa l’avvocata Rita Claudia Baffioni, difensore di don Martinelli – perché si è svolto sulla base del rescriptum del Papa per cui si può procedere solo sull’ipotesi di reato di abusi di maggiorenni su minori”. Tra l’altro, don Martinelli e colui che l’accusa riteneva essere la vittima degli abusi sessuali sono coetanei, hanno, infatti, soltanto sette mesi e nove giorni di differenza. Sempre secondo il legale, nel dibattimento non sono emerse prove, negli anni in cui la presunta vittima era minorenne, di atti di violenza e di libido, quindi è venuto meno il presupposto principale del rescriptum del Papa, ovvero la tutela del minore. L’avvocata Agnese Camilli Carissimi, difensore di don Radice, aveva chiesto l’assoluzione con formula piena del suo assistito perché il fatto non sussiste. Anche l’avvocato Emanuela Bellardini, legale dell’Opera Don Folci, organismo della diocesi di Como al quale è affidata la gestione del Preseminario, aveva chiesto l’assoluzione con formula piena per entrambi gli imputati. In aula, i legali delle difese hanno espresso soddisfazione per la sentenza.