Giorgio Parisi il Nobel per la Fisica avrebbe potuto vincerlo anche prima, nel 2002. È lo stesso scienziato che in un contribuito sul Corriere della Sera spiega che a 25 anni si fece sfuggire la possibilità di scrivere l’articolo che di fatto sancì più avanti la nascita della Cromo Dinamica Quantistica. Ricerca che nel 2004 fa è valso il premio a Politzer da un lato, Gross e Wilczek. “Non sono mai riuscito a capire se farsi scappare da sotto il naso un premio Nobel all’età di venticinque anni sia qualcosa da raccontare con orgoglio o piuttosto uno di quei segreti un p0′ vergognosi che sarebbe meglio dimenticare. Io propendo per la seconda ipotesi, ma dato che la storia è gustosa, la scrivo lo stesso. Tuttavia bisogna fare uno sforzo per capire il contesto, altrimenti appare insipida…” si legge nello stralcio del libro che sarà edito da Rizzoli.
Il racconto è da leggenda: “Un giorno, mentre facevo il bagno nella vasca della casa dei miei genitori, nel gabinetto con le pareti ricoperte di un marmo arancione mi concentrai sul problema. Identificai tre contributi alla funzione beta: due avevano segno opposto e si cancellavano tra di loro, il terzo era irrimediabilmente positivo: quindi il segno finale era positivo. Tuttavia se avessi perso un po’ più di tempo e impostato il conto utilizzando le regole di calcolo per le teorie di YangMills mi sarei accorto che esisteva un quarto contributo, negativo, che dominava il risultato che era negativo. Ma il risultato positivo mi piaceva, non controllai il conto e rimasi con la convinzione errata. Nella conferenza di Marsiglia nell’estate del ’72, il fisico di Utrecht Gerard ‘t Hooft (26 anni) annunciò di aver calcolato il segno della funzione beta nelle teorie di Yang-Mills e il risultato era negativo! Il grande annuncio cadde nell’indifferenza totale… L’unica persona che capì a fondo l’importanza del risultato di ‘t Hooft era Kurt Symanzik, un geniale fisico tedesco sulla cinquantina, che spronò ‘t Hooft a scrivere un articolo sull’argomento. Io ero molto amico di Symanzik: nel novembre dello stesso anno andai a trovarlo ad Amburgo: mi portò sulle torre della televisione dove in un ristorante in cima si potevano mangiare tutte le torte che uno voleva (ne avevano di sei tipi e io ne presi una fetta di ciascuna), mi portò a vedere una bellissima edizione del Flauto Magico, mi invitò a cena a casa sua a mangiare gallette con scombri sott’olio accompagnati da latte a lunga conservazione rinforzato da latte concentrato, discutemmo di fisica per decine di ore sviscerando tutti i possibili argomenti di interesse in comune, ma non mi parlò del risultato di ‘t Hooft”.
“Non ci venne in mente di considerare la carica di colore come aveva proposto Gell-Mann. Bastava che in quel momento avessi visto il nome di Gell-Mann scritto da qualche parte (per esempio sulla lavagna), o che nei giorni successivi qualcuno, anche a tavola, avesse parlato del modello di Gell-Mann, io sarei corso da ‘t Hooft, gridando ‘Eureka’: in un paio di giorni avremmo fatto i controlli necessari e mandato il lavoro alla rivista. Era stata una cecità incredibile, di cui io porto tutta la responsabilità… Pochi mesi dopo Politzer da un lato, Gross e Wilczek dall’altro, rifecero il conto di ‘t Hooft e identificarono le cariche dei campi di Yang-Mills. Fu la nascita della QCD (CromoDinamica Quantistica) e l’articolo fruttò ai tre autori il premio Nobel nel 2002. Io mi feci sfuggire un articolo potenzialmente da Nobel, ma rimasi con una bella storiella da raccontare”.