di Cinzia Catrini*
Nell’attuale contesto di ripartenza delle attività economiche il rispetto delle norme anti-contagio può consentire alle imprese di riaprire in sicurezza. In questo contesto di particolare interesse per le imprese è l’estensione dell’obbligo di green pass ai lavoratori del settore privato così come previsto a seguito dell’introduzione dell’art. 9-septies nel Dl n. 52/2021 con l’art. 3 del Dl n. 127/2021. Nello specifico, il datore di lavoro per effetto di tale disposizione, entro il 15 ottobre, dovrà adottare delle misure organizzative al fine di verificare che il lavoratore sia in possesso di green pass e nominare, con apposito atto formale, il soggetto incaricato a dette verifiche.
In attesa di linee guida, dalla norma si evince che dette modalità di verifica potranno essere svolte “anche a campione” e, ove possibile, effettuando i controlli al momento dell’accesso ai luoghi di lavoro (quindi sembrerebbe che potranno avvenire anche nel corso dell’attività lavorativa) e assumeranno un valore cogente trattandosi di prescrizioni rispetto alle quali non appare consentita alcuna valutazione. Non vi è, infatti, alcun riferimento né ad obblighi di informazione né di condivisione sindacale e al Protocollo sicurezza anti-Covid menzionato.
Ciò premesso, in siffatto nuovo scenario, quali sono le possibili responsabilità amministrative nonché penali del datore di lavoro? E dello stesso lavoratore?
Innanzitutto, per il datore di lavoro, il fatto di non ottemperare in maniera rigorosa ai dovuti controlli sul possesso del green pass comporterebbe l’irrogazione di una sanzione amministrativa da € 400 a € 1000 (importo che può raddoppiare in caso di violazioni reiterate); inoltre, detta inottemperanza costituirebbe una violazione anche degli obblighi connessi alla corretta applicazione delle misure di sicurezza atte a tutelare la salute dei lavoratori con possibili gravose conseguenze, anche sul piano penale. Infatti, in forza della posizione di garanzia del titolare dell’impresa, sullo stesso grava l’obbligo giuridico di adottare tutte le misure necessarie, secondo la miglior scienza ed esperienza del momento, ad impedire il verificarsi di eventi dannosi (gli “infortuni”) per la salute e sicurezza dei prestatori di lavoro.
Pertanto, nel caso in cui un lavoratore subisca un’infezione da Coronavirus in occasione di lavoro a causa dell’omessa adozione delle “nuove” cautele tipizzate relative al controllo del green pass (oltre che in generale nella disciplina emergenziale e nei Protocolli condivisi), al datore di lavoro potrebbe essere contestato il reato di lesioni personali colpose ovvero, in caso di decesso dovuto al virus, il reato di omicidio colposo, entrambi aggravati dalla violazione delle disposizioni del Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro.
È altresì vero che, riscontrata la violazione di una regola cautelare (la verifica del possesso del green pass e l’adozione formale delle modalità organizzative adottate ed attuate a tal fine), è però poi fondamentale accertare il nesso di causalità tra detta violazione e l’evento dannoso, vale a dire la malattia o decesso del lavoratore a causa del contagio da Covid-19. In altri termini dovrebbe essere dimostrato che il contagio sia avvenuto nell’ambiente di lavoro e non altrove – e proprio a causa della mancata adozione della misura di prevenzione in esame.
Il momento del contagio potrà infatti definire anche la regola cautelare che funge da parametro di valutazione della condotta del datore di lavoro sotto il profilo soggettivo: la responsabilità colposa del titolare dell’impresa richiede l’accertamento della prevedibilità ed evitabilità in concreto dell’evento. Bene, peraltro, ricordare che ad escludere la prevedibilità dell’evento (e anche, in vero, del nesso di causalità tra condotta ed evento) può assumere rilievo la condotta del lavoratore contagiato allorché eluda o violi la misura precauzionale e l’organizzazione, nonché i controlli assunti dal datore di lavoro.
Il Dl in esame, infatti, richiede che anche il lavoratore partecipi con diligenza al nuovo meccanismo e prevede una sanzione interna al rapporto di lavoro: chi si presenta senza green pass e lo dichiara è considerato assente ingiustificato sino alla presentazione del certificato verde e durante l’assenza non ha diritto ad alcuna retribuzione; in ogni caso, precisa il decreto, “senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro”.
Diversamente, per il lavoratore che non sia in possesso del green pass e non lo dichiari – venendo dunque sorpreso nel luogo di lavoro privo della carta verde – è prevista una sanzione amministrativa da € 600 a € 1.500, che potrà in questo caso essere accompagnata da provvedimenti disciplinari.
A ciò si aggiunga che, sotto il profilo penale, allorché il lavoratore esibisca un green pass contraffatto o alterato, potrà incorrere nel reato di falsità materiale o di uso di atto falso. Non da ultimo, potrebbe configurarsi anche il reato di sostituzione di persona nel caso venga utilizzata una certificazione altrui.
* Svolge la professione di avvocato da un ventennio ed è abilitata avanti alla Suprema Corte di Cassazione. Opera nel settore del diritto e della procedura penale e ha acquisito un’ampia esperienza nelle leggi regolanti la produzione industriale e nelle tematiche della legislazione speciale d’impresa attinenti al settore sicurezza.