“Avevamo ‘pallottole specifiche’ contro il virus. Potevano salvare migliaia di pazienti, evitare ricoveri e contagi ma abbiamo deciso di non spararle”. Questo aveva raccontato il Fatto Quotidiano a dicembre 2020, in un’inchiesta esclusiva che denunciava l’inerzia sugli anticorpi monoclonali da parte dell’Aifa e del ministero della Salute. A distanza di un anno ora è la Corte dei Conti a volerci vedere chiaro. La magistratura contabile ha aperto un fascicolo per capire se l’Agenzia del farmaco abbia compiuto una “scelta pubblica non adeguatamente ponderata”. La “scelta” fu quella raccontata negli articoli del Fatto di snobbare le nuove terapie, perfino quando fu offerta all’Italia l’occasione di sperimentarle prima di tutti e gratuitamente, impiegando già a ottobre 2020 le 10mila dosi di Bamlamivimab offerte dagli Stati Uniti per tramite del professor Guido Silvestri che si era speso, anche personalmente, per avere l’avvallo della multinazionale Eli Lilly.
All’epoca quasi nessuno ne parlò, neppure quando si scoprì che quel farmaco capace di ridurre il rischio di ospedalizzazione dal 72% al 90% veniva prodotto anche in Italia, ma usciva dagli stabilimenti di Latina per andare negli Usa, in Germania, Israele insomma ovunque ma non negli ospedali d’Italia. “Li inviamo in tutto il mondo, ma in Italia se faccio uscire una fiala dal cancello mi arrestano”, dirà al Fatto il titolare dello stabilimento Aldo Braca. L’autorizzazione all’uso arrivò poi sull’onda di quelle rivelazioni, solo a gennaio 2021 e grazie all’insistenza del neopresidente dell’Aifa Giorgio Palù che convinse il ministro Speranza a spalancare anche in Italia la strada alle terapie anticovid. Le prime dosi sono state somministrate a marzo e a distanza di un anno da quei fatti nelle 200 strutture autorizzate sono state impiegate giusto 10mila dosi, quante quelle offerte gratis, che sono però costate un sacco di soldi. Per questo la Corte dei Conti ha aperto un’indagine sulla vicenda, con ipotesi di danno erariale.
I magistrati dovranno dunque tornare al 29 ottobre 2020, quando su un tavolo con tutte le autorità sanitarie e politiche interessate atterra la proposta di Silvestri che le supplicava di accettare di corsa l’offerta della multinazionale americana e avviare anche in Italia un trial gratuito propedeutico all’impiego su larga scala, utile sia a diradare sul campo i dubbi di efficacia dietro cui l’Aifa si trincerava e soprattutto a curare i pazienti che dopo un anno di pandemia venivano ancora trattati solo con la tachipirina. Il Fatto l’ha raccontata con tutti i dettagli. Alla riunione, tra gli altri, erano presenti Gianni Rezza in rappresentanza del ministero della Salute, Giuseppe Ippolito come direttore dello Spallanzani già membro del Cts e lo stesso Silvestri in collegamento dall’Emory university di Atlanta. La riunione, curiosamente, non è stata mai verbalizzata. Una volta uscita la storia, il dg dell’Aifa Magrini difese la scelta di lasciarla cadere con motivazioni di ordine burocratico-procedimentale: “Senza l’ok dell’Ema non possiamo autorizzare”. Poisi scoprì che in emergenza si poteva fare, anzi si era fatto ricorrendo a una legge già usata per altri farmaci non “bollinati” dall’ente europeo. E in effetti andò proprio così, perché l’Italia, ormai a furor di popolo, autorizzò senza attendere oltre.
Ma a quel punto l’opzione a costo zero era saltata, per ragioni tutt’ora incomprensibili sulle quali la Corte dei Conti pretende ora chiarezza. Perché il 16 novembre 2020 si tiene una seconda riunione sui monoclonali stavolta alla presenza di Domenico Arcuri, del dg Magrini, di Speranza che culmina con una manifestazione di interesse all’acquisto dei farmaci che erano stati offerti gratis giusto un mese prima. Magrini ha sostenuto poi che Eli Lilly non avesse più mandato un’offerta economica, la multinazionale di non averla mandata per il semplice fatto che non fu poi manifestato alcun interesse concreto all’acquisto, che era poi l’unica strada percorribile perché l’Fda aveva autorizzato il farmaco e una volta fissato il prezzo non è più possibile cedere lotti gratuitamente ad altri Paesi. Dunque sì. Quella che Silvestri aveva balenato sui tavoli delle autorità italiane era effettivamente un’occasione unica, da prendere al volo. E da allora i virologo italiano ha continuato a chiedere di far luce sulle resistenze costate agli italiani “indicibili sofferenze e la perdita di vite umane”.