Qualche settimana fa ho incontrato una mia ex collega che da poco aveva lasciato il suo posto fisso in una banca classica per iniziare un’attività autonoma come consulente finanziario di una banca di promozione finanziaria. Era molto perplessa sulla decisione presa e mi ripeteva in continuazione: “ma, secondo te, ho fatto la scelta giusta?”.
Non si tratta di un caso isolato e merita un approfondimento.
Nel 2014, in Io so e ho le prove, il mio primo libro, scrissi che: il dipendente bancario sta vivendo da circa 6 anni, e vivrà nei prossimi dieci anni, un forte momento di disagio dovendo vivere in un contesto che offrirà, in condizioni di stress sempre crescenti, scarsa valorizzazione delle risorse e poche prospettive (soprattutto economiche) motivanti per il futuro. Tutto ciò comporterà una riflessione da parte di chi non si accontenta dello status quo e ha voglia di emergere dallo stato paludoso in cui si ritrova.
L’unica alternativa metabolizzata nella testa del bancario medio per cambiare questa situazione è quella di avviare una carriera da consulente finanziario autonomo (ex promotore finanziario).
Ultimamente, però, si sta assistendo ad una cannibalizzazione dei criteri di selezione dei bancari da parte dei manager-recruiter delle reti, che potrebbe avere deleterie ripercussioni economiche e psicologiche nei confronti di chi – parlo sempre del profilo standard del bancario – non ha le giuste caratteristiche mentali, professionali e di mercato per sostenere il cambiamento.
Tra l’altro, dopo circa dieci anni di approvvigionamento di bancari da parte delle reti, negli istituti di credito sono rimasti solo i consulenti più deboli o meno strutturati perché tutti i “migliori” sono già scappati.
Il contesto, quindi, è ancora più pericoloso per chi non ha la struttura psicologica adatta: si pensi, ad esempio, ai problemi di natura giudiziaria che occorre affrontare, nel momento del passaggio alla nuova condizione, quasi sistematicamente, per il mancato rispetto dei “patti di non concorrenza” o per le accuse di “concorrenza sleale”.
Passare mentalmente dalla condizione di lavoratore dipendente a quella di lavoratore autonomo, indipendentemente dalle motivazioni che spingono in tale direzione, non è semplice e comporta dei trade off che molto spesso non vengono presi in considerazione dai diretti interessati, né tantomeno sollecitati dai manager-recruiter delle banche di consulenza. Attenzione: qui non mi riferisco alle politiche delle banche-istituzioni ma ai comportamenti degli uomini che le rappresentano. E gli esseri umani non sono tutti uguali, presupposto fondamentale per respingere qualsiasi accusa di generalizzazione.
Fatta la necessaria premessa, l’esperienza diretta vissuta nel mondo della finanza evidenzia che il tipico processo di selezione per verificare se il dipendente bancario è tagliato per fare il consulente autonomo si basa quasi esclusivamente sull’analisi del portafoglio potenziale, che potrebbe essere canalizzato nella nuova banca (“quanti risparmi riusciresti a portarmi?”), e sulla rete di relazioni del candidato (“le persone che frequenti sono alto-reddito?”) al fine di verificare se i servizi, le caratteristiche dei prodotti e la tipologia di clientela servita dalla banca siano in linea con il profilo di clientela che il candidato consulente vorrebbe servire.
Anche se i manager-recruiter delle reti finanziarie sono talvolta affiancati da strizzacervelli assoldati, nei processi di reclutamento non sempre ci si sofferma su quelli che sono i principali blocchi psicologici che frenano un dipendente bancario prima di decidere di diventare un professionista-imprenditore. Anzi, alcuni manager-recruiter spesso favoleggiano sui miracolosi e positivi cambiamenti che potrebbero riflettersi sulla vita del candidato facendo un’ambigua azione di persuasione.
Come? Innanzitutto si magnifica il sostanziale salto reddituale che potrebbe portare i più deboli psicologicamente a credere veramente di diventare ricchi in poco tempo.
Andiamoci piano e facciamo due conti: considerato che, oggi, lo stipendio medio di un consulente bancario con contratto di lavoro dipendente si aggira sui 2.000 euro netti al mese (comprensivo di eventuali premi legati ai sistemi di incentivazione), per garantire quantomeno lo stesso livello reddituale netto a “regime” (ma chi cambia non perderebbe la “certezza” del reddito per gli stessi soldi) occorrerebbe avere un portafoglio clienti con disponibilità per almeno 20 milioni di euro!
È anche vero che il semplice trasferimento dei risparmi viene oggi pagato mediamente il 2% (lordo), producendo un reddito straordinario, una tantum (a meno che non cambi casacca ogni 2-3 anni), di circa 200mila euro netti. Ma quei risparmi li devi sempre trasferire!
E non è sempre così facile perché, come abbiamo già detto, i “migliori” consulenti private o personal banking hanno già cambiato casa.
In secondo luogo, le metodologie di selezione attuate dai manager-recruiter per compensare il blocco del bancario derivante dalla perdita di un brand forte alle spalle si focalizzano sul riconoscimento dello status di consulente di alto profilo anche attraverso la celebrazione della bellezza architettonica e della rappresentatività degli uffici-salotti che, indubbiamente, sono di gran fascino rispetto alla tristezza dei locali di una banca classica.
Talvolta, però, dimenticano di dire che, per lavorare in quegli spazi, il consulente deve pagare una fee per le utenze e i servizi – ad esempio l’addetto al back office – nonché una quota, parte del fitto.
Il terzo cavallo di battaglia dei manager-selezionatori è l’esaltazione, in sede di colloquio, dello stile di vita libero e senza pressioni commerciali cui andrebbe incontro il bancario-schiavo nel momento in cui abbandona le catene del lavoro dipendente. Altra chimera! Le pressioni commerciali esistono e sono più subdole perché incidono sulla tasca del consulente (“se vendi i nostri prodotti del risparmio gestito guadagni il doppio!”) lasciando credere che ci sia libertà di azione.
Cari manager delle reti di consulenza finanziaria, una domanda di riflessione: siete certi di affrontare con etica professionale e coscienza umana i processi di reclutamento dei bancari?