Allungare i tempi di validità del tampone e dare la possibilità alle imprese di organizzarsi anche autonomamente per l’esecuzione dei test per evitare il “rischio caos” a partire da venerdì 15, quando il Green pass diventerà obbligatorio sui luoghi di lavoro pubblici e privati. Dopo aver chiesto una vasta estensione del certificato verde, a meno di una settimana dall’introduzione del profilo più ‘restrittivo’, le Regioni fanno parziale marcia indietro e chiedono alcune modifiche che verranno discusse con ogni probabilità, mercoledì 13, in Conferenza delle Regioni. La linea era già saltata fuori con alcune interviste di governatori di centrodestra – compreso Massimiliano Fedriga, che della Conferenza è presidente – ed è sostanzialmente identica a quella del leader della Lega Matteo Salvini: maglie un po’ più larghe per evitare che milioni di lavoratori ancora non in possesso del Green pass si ritrovino a dover ricorrere con grande frequenza al tampone.
Per questo la Conferenza delle Regioni chiede una sostanziale “riorganizzare” del sistema di rilascio del certificato per chi effettua un test, allungando ulteriormente i tempi di validità. Attualmente il Green pass dura 48 ore se ci si è sottoposti a un test antigenico rapido e 72 ore in caso di tampone molecolare. Inoltre, i governatori chiedono anche che il governo conceda alle imprese di poter organizzare autonomamente l’esecuzione dei test. Il motivo? Lo spettro di un possibile “caos” a partire dal 15 ottobre. La linea? Uguale a quella della Lega: “Allungare la durata minima del Green Pass da 48 a 72 ore è possibile, anzi doveroso e previsto dall’Europa. Evitare caos, blocchi e licenziamenti il 15 ottobre è fondamentale”, aveva scritto su Twitter Salvini alcune ore prima dei dubbi trapelati da parte delle Regioni, che in maggioranza sono guidate dal centrodestra. I licenziamenti di cui parla il leader del Carroccio, va precisato, non sono in realtà previsti dal decreto.
Un rischio caos viene evocato anche dalla presidente dei senatori di Forza Italia, Anna Maria Bernini. Ma la soluzione, a suo avviso, è diversa: “Va valutata davvero molto seriamente da parte del governo l’opportunità di introdurre l’obbligo vaccinale, perché non si può rischiare di compromettere da una parte la salute pubblica e dall’altra la ripresa economica. Il Green pass, ha aggiunto, “si è dimostrato il passepartout per uscire dalla pandemia” ma “purtroppo sono milioni nella fascia di età lavorativa” i non vaccinati e “ora rischia di creare il caos nelle aziende per il numero abnorme di tamponi” necessari.
Già in mattinata due presidenti del Carroccio di ‘peso’ come Fedriga e Zaia, attraverso le pagine de La Stampa e La Repubblica, avevano dettato la linea, identica a quella del loro segretario. “Il governo deve intervenire tempestivamente, per consentire alle imprese di organizzarsi”, aveva detto il governatore del Friuli Venezia Giulia e numero uno della Conferenza delle Regioni. “Non saremo in grado di offrire a tutti i non vaccinati un tampone ogni 48 ore. Gli imprenditori con cui parlo io sono preoccupatissimi”, l’allarme di Zaia.
In Veneto i no vax “sono 590mila, nella fascia compresa tra i 18 e i 69 anni – ha fatto di conto il presidente del Veneto – Poniamo che la metà di loro lavori. Ebbene, noi in Veneto, facciamo circa 50mila tamponi al giorno per i positivi e i loro contatti stretti, più altri 11mila nelle farmacie. Sono 60mila test”. In sostanza, a suo avviso, non c’è la capacità “di controllare tutti i non vaccinati ogni due giorni”, spiega. Da qui la proposta di autorizzare le imprese all’auto-somministrazione dei test nasali rapidi e di allungare la durata del tampone. Netto l’eco di Fedriga: “Semplifichiamo le procedure per il tampone. Se il Veneto non è in grado di garantire la capacità di test non ce la faranno neanche le altre regioni, temo”, ha spiegato. Bisogna “fare in modo che le scelte del governo siano applicabili nella vita reale”, ha concluso il governatore del Friuli Venezia Giulia.