Dopo due settimane di code interminabili alle pompe di benzina, litigi tra automobilisti e valanghe di insulti sui social media, il governo di Boris Johnson ha deciso di mobilitare l’esercito. Sono i soldati che stanno riempiendo di carburante i serbatoi dei benzinai, ma se temporaneamente l’uso delle forze armate ha funzionato, rimane il fatto che nel Regno Unito post Brexit si è verificata una crisi di economia della carenza. Chi è giovane non conosce questo fenomeno. Le crisi di economia della carenza erano tipiche dei regimi comunisti, non avevano molto a che fare con il sistema di produzione, piuttosto erano il prodotto della sfiducia della popolazione nei confronti di chi era al potere. Ad esempio, si diffondeva la voce che mancava la carta igienica e tutti si precipitavano ad acquistarne delle scorte, qualcuno raccontava di non aver trovato il detersivo al supermercato e in un batter d’occhio una città intera ne acquistava tutte le confezioni. Risultato: non si trovava più né carta igienica né detersivo.
Queste straordinarie oscillazioni della domanda creavano carenze dei prodotti sul mercato anche perché il sistema di approvvigionamento era lento, farraginoso, le scorte industriali erano minime ed alla fine i prodotti mancavano per settimane. In parte è quello che è successo nel Regno Unito. Da settembre 2021 il governo di sua maestà ha introdotto un nuovo tipo di carburante, da E5 si è passati a E10, più ecologico e meno inquinante, parte del programma di transizione ecologica. Naturalmente tutte le pompe di benzina hanno dovuto svuotare i serbatoi del vecchio carburante. Anticipando una carenza, gli automobilisti sono corsi a fare il pieno. Risultato: le file ai benzinai erano chilometriche, le pompe si sono svuotate velocemente e molte macchine sono rimaste a secco.
Nessuno si aspettava l’assalto ai benzinai e dunque il governo è stato preso in contropiede perché non ragiona sulla base di un’economia post Brexit. Nel Regno Unito mancano circa 100mila camionisti, quasi tutti europei: molti sono tornati nei loro Paesi dopo la Brexit e altrettanti non vogliono sottomettersi ai nuovi controlli doganali per portare merci nel regno di sua maestà. I camionisti abilitati a guidare le autobotti sono poi una minoranza poiché hanno bisogno di una licenza particolare. Date queste circostanze, non è stato possibile approvvigionare le pompe di benzina per una decina di giorni, finché è stato mobilitato l’esercito.
La scomparsa del carburante alle pompe è il prologo di quello che succederà durante l’autunno e l’inverno nel mondo. Anche questa crisi energetica è legata alla transizione ecologica, ma questa volta a causarla sarà l’impennata dei prezzi prodotti dagli squilibri tra domanda ed offerta, sarà dunque una vera crisi economica. In tutta Europa e nel mondo, la transizione ecologica si è imbattuta nel primo grande ostacolo di approvvigionamento legato a due fattori: la forte ripresa economica post Covid e l’incostanza e rigidità della produzione energetica delle rinnovabili. Tutto ciò ha creato la tempesta perfetta.
Anche in questo caso i governi sono stati presi in contropiede: non avevano previsto questo scenario, perché non si ragiona in termini di economia delle rinnovabili. Nell’economia degli idrocarburi gli squilibri tra domanda ed offerta si risolvono aprendo o chiudendo i pozzi di petrolio, nelle rinnovabili non è possibile regolare il vento o spegnere il sole. Altro problema: non è facile immagazzinare l’energia rinnovabile come avviene per i fossili.
La domanda che ci dovremmo porre proprio adesso, sullo sfondo del COP26, è la seguente: se la transizione ecologica non ha preso coscienza di questi fattori, che tipo di agenda verde hanno prodotto i governi? È importante farlo perché anche questa volta la crisi si abbatterà su di noi, i consumatori. Dall’inizio dell’anno il costo dell’energia è salito del 400 per cento, l’inflazione in Europa è sopra il 4 per cento, nel Regno Unito si prevede che a metà del 2021 sarà superiore al 5 per cento e la banca d’Inghilterra sta già studiando come e quando iniziare a far salire i tassi d’interesse. In Cina il 40% delle fabbriche opera a singhiozzo o ha chiuso i battenti per mancanza di energia, in alcune regioni già si stanno verificando blackout. Anche in molte zone del Sud America l’interruzione improvvisa di corrente è ormai la norma. La transizione ecologica è l’ultima zattera della nostra salvezza in un mare in tempesta costante, trattarla come uno slogan politico ci farà affondare tutti.