Certo che, specie intorno all’anno 1000 (ca. 400 dall’Egira), di fifa nei confronti dei ‘Saraceni’ nel nostro Paese ce ne deve essere stata tanta: basterebbe passare in rassegna la miriade di insediamenti umani collocati sulle cime e cimette di alture in prossimità del mare. Poi bisognerebbe anche aggiungere quella letteratura (in prevalenza mistificante e un poco sporca) collegata ai racconti e ai resoconti relativi alle secolari Crociate. Racconti che mascherano, per il grande pubblico, profonde verità di tipo anche opposto: ad esempio, una parte consistente (stimata nel 40%) delle ‘forze musulmane’ contro i Crociati era costituita da gente cristiana, quindi non musulmana. Evidentemente grande era il senso di pericolo civico, sociale e culturale che tutto il complesso delle forze armate (e quindi delle popolazioni) musulmane e non musulmane nutrivano contro l’arrivo delle milizie degli ‘invasori’, e la disponibilità a difendere la propria realtà sociale e civile, oltre che la propria vita, era assolutamente totale.
Devo ricordare una sensazione viva e pesante che io ebbi in un bellissimo viaggio in Siria (prima delle attuali tragedie belliche) quando ebbi modo di visitare il ‘Krak dei Cavalieri’: Qala’at al-Hosn (oggi Ordine militare dei Cavalieri dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme, più noto come Ordine Ospedaliero prima di diventare Ordine dei Cavalieri di Rodi e, infine, Ordine dei Cavalieri di Malta – oggi Smom-Sovrano Militare Ordine di Malta).
Era la postazione più avanzata verso est nel territorio siriano raggiunta dalle milizie cristiane, una fortificazione non solo imponente ma anche terrificante. Non ho vergogna nel dire che percepivo una netta e reale paura di entrare nel Krak e addentrami nelle varie componenti, scure, lugubri in una giornata di sole, disadorne e in fondo fatte apposta per intimorire.
Proprio in quella visita mi sovvenne quel detto del ‘mamma li turchi!’ che ancora oggi caratterizza molti nostri connazionali ed europei: e mi domandai che cosa si sarebbero detti i musulmani (che però erano anche – e non pochi – di fede cristiana) sottoposti a simmetriche paure. Questo, ancora oggi, è il regalo delle Crociate: e delle balle che si sono raccontate su falsi e inverecondi libri di storia…
Lo so benissimo che oggi le aperture dall’Occidente europeo al mondo arabo-mediterraneo sono ben più ampie e consolidate: ma rimane pur sempre quel ‘distacco’ prudente, quel nonsoché di diffidenza, quell’associare il mondo arabo al levantinismo di furbesca matrice. E, penso ma non lo so, altrettanto e adeguatamente adattato, varrà per il mondo arabo-mediterraneo nei confronti del mondo europeo. I contatti e i rapporti diplomatici non saranno mai in grado, a mio avviso, di superare queste antiche barriere: la leva su cui bisogna lavorare (e di necessità prima o poi lo si dovrà fare) è quella di un infittirsi di ‘sentimenti’ più positivi a livello della gente normale, del popolo, non dei politici o degli imprenditori, di coloro che sia in un campo che nell’altro vivono gli stessi problemi, le stesse emozioni, le stesse difficoltà ma anche le stesse speranze.
Un progetto che si voglia impegnare su un terreno così vasto e importante come questo esige che si abbiano ben chiare alcune ‘visioni programmatiche’ che si diramino su settori e campi diversi. Innanzitutto verso il mondo euro-mediterraneo: Spagna, Francia, Italia, Croazia, Montenegro, Albania, Grecia, Cipro. Utilissimo disporre di un gruppo che curi i rapporti con questi Paesi secondo le direttive che il progetto darebbe loro. Molto importante il settore che comprenderebbe il gruppo dei Paesi arabo-mediterranei che si estenderebbe dal Marocco alla Siria: Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Israele, Palestina, Libano, Siria. Anche la Turchia farebbe – ovviamente – parte del progetto: occorrerebbe decidere se aggregarla ai Paesi euro-mediterranei o arabo-mediterranei.
Si tratta di un ‘mondo’ di diciassette Paesi da secoli abituati a commerciare in pace e poi, con pretesti religiosi ma per motivazioni commerciali – specie occidentali – hanno cominciato non solo a farsi la guerra ma soprattutto a non fidarsi più reciprocamente. Il problema vero è quello di creare nuove connessioni: ma non a livello di legazioni ufficiali (ambasciate, governi, consolati, eccetera) bensì fra le genti minute, per le quali le vie di contatto sono prevalentemente quelle della ‘società civile’ organizzata di associazioni di categoria.
A questo livello e utilizzando le vie di comunicazione fornite dalla cultura (musica, incontri, scambi di persone, giornali, sport, incontri universitari, eccetera eccetera) sicuramente – con un lavoro appassionato, sia gli euro-mediterranei che gli arabo-mediterranei imparerebbero a conoscersi e a stimarsi, alla faccia sia del ’mamma li turchi’ che ‘dàgli agli infedeli’.